Il mio impianto

 

Il mio impianto nel 2014-15

Il mio impianto è costruito attorno ai diffusori inglesi TDL Studio 0.5 acquistati alla fine del 1991. I diffusori sono i principali responsabili delle caratteristiche sonore di un impianto, quindi è bene sceglierli per primi e poi accoppiarli con l’amplificatore opportuno. Sono convinto sostenitore che un impianto HiFi debba essere in grado di riprodurre accuratamente tutta la gamma delle frequenze udibili, anche se sono conscio del fatto che il contenuto delle registrazioni musicali è ben povero di frequenze al di sotto dei 40 Hz. I minidiffusori che sono andati tanto di moda, non possono farlo per via delle loro caratteristiche fisiche (sono troppo piccoli). Nel caso delle TDL, la tecnologia della “linea di trasmissione” consente di ottenere una gamma bassa di notevole qualità ed estensione in mobili di dimensioni contenute. Le TDL Studio 0.5 riescono a riprodurre in modo eccezionale la gamma audio dai 30 Hz in su senza per nulla penalizzare le frequenze medio alte, timore che portava molti puristi a prediligere i minidiffusori. Ma le frequenze più basse non si sentono molto con le orecchie, bensì col corpo, con la “pancia”: l’impatto di un diffusore “a spettro completo” è un’altra cosa. Un impianto si costruisce a partire dai diffusori ed io avevo scelto i miei. L’amplificatore alla loro altezza risultò essere l’integrato italiano Unison Research Mood, che dalla fine del 1991 al maggio 2019 ha pilotato le casse inglesi allietando i miei ascolti musicali. Poi l’ho aggiornato con l’ottimo Naim Nait 5i.

Gli inizi

Il giradischi amplificato della Augusta

Nel mio caso, la passione per l’alta fedeltà è nata da piuttosto giovane, intorno ai 12 anni, quando un mio zio acquistò un impianto stereo Augusta, un giradischi amplificato con due diffusori (in alto). A pensarci oggi era un impianto sonicamente piuttosto mediocre, ma quando ero a casa degli zii non mi stancavo mai di ascoltare i loro dischi, affascinato dall’effetto stereo “che faceva uscire suoni diversi dalle due casse”. Quando poi sostituirono l’impianto con un coordinato della Technics (niente di davvero Hi-Fi ma è tutt’ora in funzione da mia sorella) mi regalarono il giradischi Augusta, facendo di me l’adolescente più felice della terra. Potevo caricare più dischi uno sull’altro e l’Augusta li avrebbe fatti calare dal suo caricatore in sequenza (alto che VTA!). Era completamente automatico e poteva suonare anche i 78 giri grazie ad un doppio stilo: la punta da 78 veniva fuor ruotando lo stilo tramite una apposita levetta che andava spostata dal lato opposto della testina.

Registratore a Cassette Technics M5

Aveva anche degli ingressi con connessione DIN. Infatti qualche anno dopo gli affiancai una piastra di registrazione Technics M5, anch’essa ancora in funzione a casa di un mio amico (in alto). Più in là gli stessi zii mi fecero dono anche del sintonizzatore, un Eagle T2008 con cui a casa loro avevo sperimentato i primi ascolti musicali radiofonici. Lo ricordo ancora bene, con le sue lucine blu intenso, le freccette che si illuminavano quando la stazione era sintonizzata, le sue eleganti barre laterali in legno.

Sintonizzatore Eagle T2008

Era il mio primo impianto, ore e ore di musica ininterrotte, dischi consumati, bellissimi ricordi.

Poi il regalo me lo fecero i miei genitori: impianto modulare, ossia, finalmente, ogni componente di marca diversa, cosa che di solito si fa per scegliere quello ottimale per ogni compito, sorgente, amplificazione e diffusione. Nel nostro caso era per scegliere quelli più economici possibile (niente preoccupazioni sulle sinergie): dopo lunghissime e sofferenti trattative uscimmo fuori dal negozio con un giradischi Mitsubishi DP-5 (in basso) completamente automatico, a trazione diretta e con controllo stroboscopico dei giri; se non ricordo male montava una testina AKG. Ma a guardarlo oggi sembra ancora un bel piatto, c’è chi se lo vende a quasi 200e…

Giradischi Mitsubishi DP-5

L’amplificatore integrato era davvero economico: un umile Kenwood KA-30 (in basso) che pilotava ancor più economiche casse bookshelf Formula 80; queste riportavano la dicitura “Via Cristoforo Colombo, Roma”, ed avevano una protezione contro l’uso spropositato che le “spegneva” facendo fuoriuscire un pulsantino rosso che, schiacciato, le rimetteva in funzione. La piastra di registrazione rimase ancora la stessa Technics, che sopravvisse poi all’intero impianto. Anche in questo caso, fiumi di musica e bellissimi ricordi di gioventù. Qualità assai scarsa ma non importava. Erano bei tempi…

Amplificatore Kenwood KA-30

L’impianto subì un trasloco quando tornammo a Roma, dove sono nato, in corrispondenza dell’inizio dei miei studi universitari. Qui avevo un paio di amici appassionati con cui discutere, andare a visitare negozi, ascoltare e sognare. Da queste discussioni emerse che forse l’anello più debole del mio impianto erano i diffusori. Non potevo permettermi l’acquisto di nuove casse ed uno dei due amici, ottimo tecnico, mi convinse a provare la strada dell’autocostruzione. Purtroppo mi ispirai ad un modello piuttosto obsoleto della Genesis ed il mobile, seppur ben fatto, costruito da mio padre, era più largo che profondo, come si usava negli anni 70. L’impostazione più moderna è quella di diffusori più “stretti” possibile, certamente più profondi che larghi. In più mi imbarcai in un complicato progetto a tre vie, utilizzando per disegnare il crossover il software Cross della rivista AudioReview su Commodore 64. Il mio progetto prevedeva un woofer Ciare di generose dimensioni in sospensione pneumatica, un midrange Pearless ed un tweeter Seas. I componenti non erano niente male. Peccato che parecchio tempo dopo mi accorsi di un errore nel progetto del crossover e che per motivi economici mantenni un “provvisorio” tweeter Pioneer, certo, poco costoso ma con parametri ben diversi da quelli previsti dal crossover. Insomma, migliorai il suono dell’impianto ma non saprò mai come avrebbe davvero suonato il mio progetto senza quelle imperfezioni.

Il secondo impianto

Poi ci fu l’avvento del CD! Ormai attorno a me si materializzavano i primi lettori. Per i soliti motivi economici io fui tra gli ultimi, tra i miei amici, a dotarmi di giradischi digitale. Come molti all’epoca, non immaginavo che il “disco laser” non fosse poi quel miracolo per cui ce lo spacciavano. Anch’io avevo un giradischi senza troppe pretese, buttato a casaccio su un mobile come si faceva diffusamente a quei tempi, senza un minimo tentativo di regolazione, a fare il suo duro lavoro di estrazione delle informazioni dai solchi dei dischi. Quindi la silenziosità di fondo del CD aveva catturato anche me e alla fine incappai in un economico (alle solite!) lettore Philips CD-16.

Lettore CD Philips CD16

Ero avido lettore di riviste del settore per capire quali fossero gli oggetti che davvero si distinguevano nella numerosa offerta entry-level e all’epoca sembrava che una nuova tecnologia ideata da Philips per la sezione di conversione digitale-analogico riuscisse ad ottenere ottime prestazioni per lettori a basso prezzo. Si trattava dei cosiddetti convertitori ad 1 bit, o “bitstream”. Sembra che suonassero davvero bene nonostante la modica spesa necessaria per impossessarsi di lettori così economici. Misi gli occhi su un giradischi digitale della JVC che sembrava quasi un ammazza giganti. Si trattava dello XL-Z431 (in basso), era dotato di convertitore bitstream della Philips e costava addirittura meno di 200.000 lire!

Lettore CD JVC XL-Z431

Decisi di accoppiargli l’amplificatore integrato Onkyo A-8200 (in basso), osannato dalla stampa specializzata a quella fascia di prezzo, davvero molto basso (credo attorno alle 400.000 lire). Trovai un acquirente per il CD-16 (il povero Kenwood era invendibile) e finalmente mi portai a casa una coppia lettore-amplificatore degna di questo nome! Il salto di qualità fu notevole, nonostante alcune ingenuità nelle scelte, alla luce di quello che so oggi (a cominciare con i diffusori autocostruiti) e per anni godetti di quell’impianto.

Amplificatore Onkyo A-8200

Oggi

Poi nel 1991 venne la laurea e raggranellai una buona quantità di mance dai parenti felici del mio traguardo. Pensai di investirli in una tastiera MIDI che allora andava per la maggiore, il Korg M1. Sono un chitarrista e all’epoca mi divertivo a suonare con degli amici con cui affittavamo delle sale prova per uscirne con la demo in cassetta. Niente di che. Davvero. Pensavo di costruirmi delle basi MIDI con cui pilotare la tastiera/campionatore tramite computer e suonare la chitarra con l’accompagnamento di una band virtuale. Non sono un tastierista, ma mi ci divertii molto per qualche mese. Poi un colloquio di lavoro ebbe ottimi risultati oltre che prevedere un trasferimento a Milano. Riflettevo sul fatto che, una volta entrato nel mondo del lavoro, non avrei più avuto tempo per lavorare alle basi MIDI, suonare, programmare. Forse avrei dovuto concentrare gli sforzi per un impianto HiFi, la mia passione, magari cercando di aggiornare i diffusori, che ora erano certamente l’anello debole della catena.

Mi misi alla ricerca, anche consultando le solite riviste di riferimento. Mi imbattei nella recensione, a dir poco entusiastica, di una coppia di casse a linea di trasmissione di una casa inglese chiamata TDL (Transducers Development Limited) che avevano una risposta in frequenza sbalorditiva per le loro dimensioni contenute, le Studio 1: tutto lo spettro acustico, dai 20 ai 20.000 hz, era riprodotto con una qualità imbarazzante da un mobile più basso di un metro! Pazzesco! Tutto ciò era consentito da una attenta progettazione della linea di trasmissione, un labirinto interno al mobile del diffusore che consente di esaltare la gamma bassa in modo ideale, senza necessità di un mobile enorme. Ma il prezzo, seppur molto conveniente per quel tipo di progetto e per il livello di qualità sonora raggiunto, era per me assolutamente fuori discussione. Come per incanto, il mese successivo uscì sulla stessa rivista la recensione, ancora più entusiastica, del modello appena inferiore, le Studio 0.5 che, essendo un po’ più piccole (addirittura!) scendevano in gamma bassa “solo” fino a 30 hz, facendo quasi gridare al miracolo. Il prezzo era alto ma potevo farcela. Dovevo ascoltarle! Mi misi a girare i negozi di Roma. Non fu facile trovarle. Trovai dapprima le Studio 1 in un paio di negozi e subito mi fecero capire che il mio piccolo Onkyo non era adeguato neanche per le Studio 0.5, diffusori piuttosto ostici che necessitavano di un amplificatore capace di erogare alte correnti. Mi consigliarono splendidi amplificatori inglesi quali Mission Cyrus, Naim Nait, Audiolab, Musical Fidelity, Arcam. Vendetti la tastiera allo stesso prezzo di acquisto e alla fine trovai un negozio che poteva farmi ascoltare le TDL Studio 0.5, casualmente lo stesso dove avevo acquistato amplificatore e lettore CD. Purtroppo non avevano l’ampia scelta di amplificatori che avevo cominciato a sognare. Collegarono le TDL all’unico della mia lista che avevano a disposizione, se non sbaglio il Musical Fidelity. Mi piacque molto quello che sentii, anche se doveva essere ovvio, visto che davvero non c’era paragone coi componenti che avrebbero sostituito a casa mia. Però il venditore, facendo il suo mestiere, mi disse che casse di quella levatura meritavano anche di più.

Diffusori TDL Studio 0.5

Mi fecero vedere un amplificatore italiano che conoscevo perché all’epoca era in tutti i negozi e si faceva ben notare, vista l’originalità dell’elegante chassis in legno, davvero molto bello. Era l’Unison Research Mood, mai considerato prima perché fuori budget. Me lo fecero sentire con le TDL, senza impegno, ovviamente. Ma la cosa funzionò, perché mio padre, che era lì con me, visto il mio sorriso all’ascolto dell’accoppiata, si offrì di metterci la differenza lui. Le TDL mi avevano convinto. A me piacciono molto i bassi, non quelli artificiosi, pompati, esagerati, chiaramente non realistici e la riproduzione delle Studio 0.5 era strabiliante. La chiave era il giusto amplificatore. Guai a sbagliare questa accoppiata. Ne va del suono generale dell’impianto, è fondamentale. L’elegante integrato italiano le pilotava con disinvoltura, senza scomporsi mai neanche nei passaggi più impegnativi. In seguito operatori del settore mi dissero che il Mood era anche uno dei pochi integrati a far suonare davvero bene pure le sorelle maggiori TDL Studio 1. Venduto il piccolo ed onesto Onkyo, dal dicembre 1991 il mio impianto è incentrato su questa accoppiata italo-britannica, che da maggio 2019 è diventata completamente inglese visto che ho adottato l’integrato Naim del 2006, uno dei migliori affari hifi mai fatti.

Come sorgente digitale ci sono stati poi diversi avvicendamenti. Quasi subito dovetti migliorare il lettore CD accontantandomi prima di un Pioneer PD-8500 Reference, poi di un ottimo Cambridge Audio CD6. Ammodernai la sorgente digitale con un economico multilettore Oppo 980H per poi passare ad un Cambridge Audio D500SE; la sorgente principale è diventata un vecchio ed ottimo giradischi Thorens TD-160, essendo da anni tornato ad apprezzare le doti del vinile. Per inciso, con l’avvento di Tangentopoli sfumò anche il mio primo lavoro e non andai più a Milano. Fu l’inizio di un lungo periodo di disoccupazione alternato a lavoretti vari finché alla fine non ho trovato quello dei sogni – solo per poi pernderlo nel 2016.

Comunque, oggi ho ancora un impianto ottimo, sono soddisfatto, anche se è piuttosto datato. Lasciamo perdere il giradischi anni 70, che non ha problemi di invecchiamento, i diffusori sono di fine 1991! Col tempo quello che invecchia sono i condensatori e le bobine, ma non costerebbe troppo farli sostituire. La cosa più delicata sono le sospensioni dei woofer, una gomma che spesso soffre l’umidità e rischia di corrodersi. Si può far sostituire anche quella, non è grave. Per ora non è mai successo nulla ai miei vecchi diffusori. Ho aggiornato l’amplificazione ma per ora non credo che metterò mano ai diffusori del dicembre 1991, a meno di improbabili occasioni a cui sia difficile dire no.