Le avventure di una Papalfa

Avevo fatto un sogno. Era notte e dei fari di una automobile illuminavano un cancello di una villa di campagna. Era come se li guardassi di lato alla loro altezza, come fossi un bambino. Provavo quella sensazione di sicurezza e calore di rientrare a casa con la tua famiglia, una sensazione molto positiva che mi è rimasta impressa con quella stessa immagine del sogno. I fari dell’auto erano tondi e cromati. Erano quattro. Al centro una griglia a V con un logo rotondo sul lato alto che per me ha sempre ricordato un periodo in cui la vita era diversa, aveva un altro ritmo, più naturale. Un periodo in cui quando viaggiavi o facevi semplicemente un giro non eri rintracciabile e per chiamare qualcuno dovevi cercare un telefono pubblico. Era anche il periodo più glorioso del marchio di quel logo e io lo associo alla mia infanzia e ad un periodo pre-digitale, dai ritmi più umani. Era il logo Alfa Romeo su un frontale tipico di quegli anni: Oo=V=oO.

Avevo sognato una sensazione della mia infanzia, ma in famiglia non avevamo mai avuto un’Alfa Romeo. L’abbiamo sognata, specialmente io. Ma mai avuta prima. Il sogno era anche un po’ premonitore perché stava per nascere nostro figlio e stavamo per cambiare casa per avvicinarci a Roma, dove avevo finalmente trovato il lavoro dei miei sogni. E avremmo avuto bisogno di un’auto più grande. Trovammo casa in campagna. Vi si accedeva con un cancello. A breve, una Alfa Romeo avrebbe illuminato quel cancello al nostro rientro a casa di sera. Cercavo una station wagon per la nuova famiglia. Il bimbo nacque a novembre, a dicembre chiamai il meccanico di fiducia chiedendo di una station wagon. Mi disse: “ho un’Alfa 156″… rimasi a bocca aperta!

A Natale 2009 andai a vederla con mia moglie e il bimbo di un mese al seguito. Fu lei ad esserne particolarmente colpita. Mi ci vedeva benissimo al volante. Le linee erano fantastiche, scorrevano perfette, su un progetto di Walter Da Silva poi rivisto nel frontale da Giugiaro. Nera, con cerchi da 16 pollici, quelli con fori circolari, diversi dai soliti raggi eleganti. Sedili in pelle chiara, allestimento Distinctive, c’era quasi tutto. Motore 1.9 JTD da 120 cavalli, il più piccolo ma praticamente eterno, con 135 mila km e sempre curato dal mio meccanico di fiducia. Era arrivata la Papalfa.

Quando dopo le feste andai a prelevarla ne fui intimidito. Era bella, lucida come nuova, imponente, importante; forse troppo per me? No, me la meritavo, dopo quello che avevo passato e quello che ero poi riuscito a costruire nonostante tutto. Arrivai a casa di sera, col buio, illuminando il nostro cancello con i fari di un’Alfa Romeo come in quel sogno, solo che non erano fari cromati come un tempo, erano in policarbonato, moderni, slanciati, non tondi, ma la famiglia era la mia, quella che avevo messo su io, dopo che tutto faceva pensare che non fossi in grado. La Papalfa, l’Alfa di quando sono diventato padre, coronava un periodo di successi di vita. Arrivava al momento giusto.

E’ una di quelle auto con cui sei felice di dover partire e ti dispiace un po’ quando sei arrivato. In 10 anni di vita con noi ne ha passate di cotte e di crude. Non poteva immaginare che se era arrivata sull’onda del successo, sarebbe anche stata protagonista della caduta. La Papalfa è stata testimone del periodo più bello della nostra vita. Non ha mai dato seri problemi, a parte con l’avantreno: è speciale, derivato dalle corse, preciso come pochi se non unico. Di contro però si ha un alto angolo di sterzata e una delicatezza che con le buche delle strade nostrane non va per niente d’accordo! La maggior parte dei soldi sono andati via così, per le buche. Una volta il danno ha preso anche la scatola dello sterzo. Ma davvero per il resto sono state grandi soddisfazioni di guida, non particolarmente comoda, parliamo di un’Alfa, ma come prende le curve, la precisione dello sterzo, la tenuta… per quelli a cui piace la guida il divertimento è assicurato!

Dopo pochi anni, in un giorno come tanti, in cui lasciavo la Papalfa alla stazione dei treni per andare in città al lavoro, al rientro mi rimetto al volante e vado verso casa. Mi fermo per qualche commissione e solo riavvicinandomi alla macchina noto lo sportello lato passeggere forzato. Solo allora mi sono reso conto che era sparita la borsa con dentro l’uniforme di Aikido, arte marziale che ho iniziato ad insegnare lo stesso anno in cui era arrivata la Papalfa. Nient’altro. Solo per quello mi avevano forzato lo sportello per aprire la macchina con un bastone facendo leva sulla maniglia di apertura interna. Il bastone era ancora in macchina. Un carrozziere ha praticamente raddrizzato lo sportello a mano verificando che non entrasse acqua. Il segno esterno è rimasto lì e ad una certa velocità si sente uno spiffero anomalo… A volte penso che è meglio lasciare l’auto aperta, tanto, se qualcuno vuole entrare, entra lo stesso facendo danni maggiori.

Purtroppo il destino ha voluto che le cose cambiassero in peggio. Nessuna tragedia che riguardi l’incolumità di persone care, ma ho perso il lavoro a poco più di 50 anni e in Italia se non è una tragedia gli assomiglia molto. Avrei dovuto cambiare auto con una più piccola? Comunque avrebbe significato spendere soldi, non si poteva. Abbiamo cambiato casa per risparmiare sull’affitto, capitando comunque in un posto molto bello. Ho tenuto la Papalfa ma ha dovuto stringere la cinghia anche lei. Un giorno ho sentito un rumore metallico ritmico venire dal vano motore. Ho avuto la pessima idea di fermarmi dal primo meccanico incontrato – Diagnosi: bronzina di albero consumata forse per malfunzionamento della pompa dell’olio. Motore da sostituire! Ero a piedi. Non avevo soldi per ripararla. Il mio meccanico di fiducia mi avrebbe procurato un motore a buon mercato, ma non conveniva spedirgli l’auto, sarebbe stato meglio far fare il lavoro dove l’auto era ricoverata. Col senno del poi avrei speso meno facendo trasportare l’auto dal meccanico di fiducia. Invece andai a prendere il motore con l’auto di mio padre e lui e mia sorella pagarono il lavoro che venne a costare molto di più del previsto. L’auto era rinata, il motore era più giovane. Ma sarebbe stato meglio che non fosse successo e mi è rimasto il dubbio che la diagnosi non fosse così grave da dover sostituire il motore, visto che chi mi ha fatto il lavoro ne ha parlato come fosse stata la cosa più complicata del mondo!

Comunque la Papalfa sembrava felice di scorrere sulla strada con una gioventù ritrovata. Era una bomba. Impeccabile, se non fosse stato per gli orribili rumori che si sentivano ad ogni buca. Le strade a Roma e dintorni sono in uno stato vergognoso, impensabile per un’altra capitale europea. Ero in grado di eseguire la normale manutenzione, ogni 20 mila chilometri, anche grazie all’amicizia col meccanico che mi lasciava pagare comodamente. Ma la manutenzione straordinaria era per me impossibile.

E purtroppo, una triste notte di agosto, mia moglie è rientrata molto tardi dopo essere stata col padre malato. Stanchissima, scende dall’auto davanti la casa di campagna e non pensa ad inserire il freno a mano; nemmeno la marcia… La Papalfa scivola lentamente in avanti verso la cunetta. Sento un orribile fracasso e mia moglie che mi chiama dal portone della casa di campagna: “la macchina è andata giù!” Non sono cose che dovrebbero succedere a uno col sostegno di disoccupazione agli sgoccioli. Immagino la Papalfa rotolare giù per il pendio e penso che quella fosse stata la sua fine. Invece si era fermata immediatamente su un tavolo in pietra sistemato dai vicini sotto la cunetta per pranzi e cene di campagna. Il parabrezza era sfondato, per il resto, chissà…

La mattina dopo un amico col trattore l’ha tirata su. Ci ho fatto subito un giro. Funzionava. Ho fatto fare la convergenza e cambiare il parabrezza subito ma anche questa volta mi sono fidato di chi non dovevo. Entrava l’acqua, il tettuccio e i montanti interni erano tutti macchiati. Dopo qualche tempo è apparsa la ruggine sul bordo tra tetto e parabrezza. A un certo punto, con l’ennesima buca il parabrezza si è staccato e l’aria spifferava rumorosamente dal lato passeggero. Mia sorella è dovuta di nuovo intervenire e finanziare la riparazione da un carrozziere di fiducia.

Ho tirato avanti a lungo senza mettere mano al casino che era successo sul pianale inferiore che aveva raschiato per terra. Poi il mio meccanico di fiducia mi ha fatto ancora credito ed ha messo a posto quello che poteva, compresa la perdita d’olio conseguente. Poi il semiasse più coinvolto nella cosa ha ceduto. Altra riparazione a credito.

Se non avessi avuto un certa amicizia con un meccanico dal cuore d’oro non sarei potuto andare avanti, non avrei potuto mantenere un’automobile e sarebbe stato un problema mantenere i piccoli lavori che si sono susseguiti nel tentativo di sbarcare il lunario. E’ in questi casi che si scoprono le persone vere. In più, tutte le volte che ho messo la Papalfa in mani diverse mi sono dovuto pentire.

Un giorno tento un colloquio di lavoro. Niente di che, una delusione. Rientrando, la macchina si spegne e non vuole sentirne più di ripartire. Passa un mezzo di soccorso e mi convince a farmi trainare dal meccanico più vicino. Altro errore. Ci ero ricascato. Il “flauto”, il tubo collettore del common rail, che distribuisce il fluido ai 4 iniettori, lo fa tramite 4 tubi a elle metallici. Uno di essi si era rotto. 120e tra costo del pezzo e lavoro. Peccato che dopo una settimana rimaniamo per strada allo stesso modo con tutta la famiglia. Stavolta mi ricordo che ho il soccorso stradale compreso nell’assicurazione e faccio portare l’auto dal mio meccanico.

Scopre che il flauto era stato fissato con solo uno dei due bulloni previsti, quindi vibrava e prima o poi era normale che uno dei 4 tubi ad elle si rompesse. Un capolavoro di chi mi aveva sostituito il motore. Più l’altro meccanico che non si è accorto delle cause del guasto. Mi indebitavo col meccanico e non potevo fare a meno di macinare chilometri. Temevo il peggio. La frizione e la cinghia avevano ormai un bel chilometraggio. ero davvero preoccupato ma non avevo i soldi. Doveva arrivarmi qualcosa che attendevo da tempo ma si faceva attendere. Sarebbe stato uno spreco fare lavori su un’auto da cambiare: oltre alle varie vicissitudini (l’acqua poi continuava ad entrare dal parabrezza) la carrozzeria era piena di graffi e piccole ammaccature da parcheggio. Non ero in condizioni di rimettere tutto a posto e tentare una (s)vendita. L’ansia che succedesse qualcosa di grosso mi tormentava.

Con poco lavoro e mia moglie per un periodo ferma anche lei, eravamo ancora in ristrettezze e un certo punto mi è rimasta innestata una marcia. Lentamente, usando solo certe marce, sono riuscito a tornare a casa, ma poi l’auto si è fermata ed ho dovuto chiamare il carro attrezzi. Ulteriore debito dal meccanico e frizione sostituita. Anche la cinghia di distribuzione era arrivata ed è stata sostituita singolarmente, senza cambiare le varie pulegge come di norma. E siamo agli sgoccioli. Dovrei cambiarla e non ho fatto il tagliando, andando oltre la scadenza di quasi 10 mila km, cosa che non faccio mai. Lei resiste. Come me.

Un giorno ci sarà una Papalfa 2.0 ma mi dispiacerà per la prima. Avrebbe meritato migliore manutenzione.