L’Amplificatore

Pre + finale? Chi ce lo fa fare… Valvole? Idem…

Il segnale elettrico che viene fuori da una sorgente va amplificato per poter essere poi passato al sistema di altoparlanti. Gli amplificatori più diffusi sono quelli integrati, ossia quelli che uniscono in un solo strumento la sezione di preamplificazione, che è dedicata alla commutazione degli ingressi dei segnali delle varie sorgenti nonché alla regolazione del volume e dei toni, e quella della amplificazione finale, che aumenta l’ampiezza del segnale rendendolo utilizzabile dalle “casse” (un ottimo esempio “classico” di separati, l’accoppiata pre e finale della inglese Naim Audio nella foto in basso).

Naim NAC 72 + NAP 140

Per cominciare però è meglio preoccuparsi solo di amplificatori integrati. Inutile per ora complicarsi la vita con la scelta e l’accoppiamento di pre e finali, per giunta di marca diversa o magari con un finale per canale. L’integrato è certamente la via più semplice dato che ne esistono di veramente ottimi anche nel mercato dell’usato (vedi Audio Analogue, Rotel, Arcam, NAD, Cambridge Audio). Per amplificare il segnale, la sezione finale di un integrato, o l’amplificatore finale separato, può utilizzare valvole, transistor o mosfet. Gli amplificatori a valvole sono molto affascinanti, ma sono molto più complicati nell’utilizzo e nell’interfacciamento, per non parlare della manutenzione. E poi c’è da sfatare l’idea del bel suono caldo delle valvole: esistono amplificatori a valvole freddi e amplificatori a transistor caldi. Quindi se è il suono caldo che si cerca non è detto che si debba cercare le valvole a tutti i costi. Spesso poi è da delirio riuscire a trovare le valvole giuste quando giungono al termine della vita utile. Meglio quindi rivolgere l’attenzione al cosiddetto “stato solido”. Nel passato l’unico modo di amplificare un segnale era quello di usare delle valvole. Poi sono stati inventati i transistor, che facevano la stessa cosa occupando molto meno spazio e durando molto di più. I mosfet sono un tipo particolare di transistor che permettono un’amplificazione di qualità superiore ma a costi superiori. Insomma, l’ideale sembrerebbe un integrato a mosfet, ma non c’è davvero bisogno di essere puntigliosi su questo. Un integrato a transistor di qualità può regalare davvero immense soddisfazioni acustiche con molte meno complicazioni di una audiofilissima combinazione valvolare pre e finale…

Quanti Watt? Ma che problema è?

Un discorso a parte merita la potenza: non serve. O meglio, serve quella che basta a pilotare bene le casse che abbiniamo all’amplificatore per sonorizzare quanto basta il volume della stanza. E per pilotare bene le casse si intende avere abbastanza riserva per spingerle duranti i picchi musicali senza distorcerli (altrimenti si rischia di danneggiarli). Ma esagerare in una stanza di appartamento è inutile. Ci romperemmo i timpani e romperemmo “altro” al vicinato, stancandoci inoltre presto dell’ascolto faticoso, proprio il contrario della filosofia HiFi. In casa ci bastano per fortuna volumi sonori relativamente bassi e un amplificatore molto potente è un grosso spreco di soldi ed energia elettrica. Insomma, l’importante non sono i watt, ma la loro qualità ed il loro rapporto con la sensibilità delle casse ed il volume della stanza d’ascolto. Un integrato da 20 watt o meno, fatto con tutti i crismi, va benissimo. Va però abbinato con diffusori adatti, che non abbiano bassa sensibilità (< 90 dB con 1 W a 1 m).

Opera M100 Plus

Diffusori con impedenza bassa (4-6 Ohm) necessitano di un amplificatore in grado di erogare una buona corrente, specie in momenti di picco come un pieno orchestrale o un gran colpo di tamburo. Ma è pur vero che in genere sono progettati per non avere problemi con i diffusori in commercio. Insomma, vi piacciono dei diffusori ma purtroppo sono a bassa sensibilità (è il mio caso)? L’amplificatore deve poter disporre di buon amperaggio e qualche Watt in più. Altrimenti davvero ne bastano 5 o 6. In casa 90 dB di pressione sonora sono molto, molto alti. Immaginate che a 1 m dall’altoparlante, 1 Watt di potenza dà una pressione sonora di 90 dB e questa è la sensibilità media delle casse in commercio. Calcolate che ad ogni raddoppio di distanza scendiamo di 3 dB e ad ogni raddoppio di potenza saliamo di 3 dB. A 2 m di distanza scendiamo a 87 dB, un buon livello sonoro con …solo 1 Watt! Ok, parliamo di una cassa sola in camera anecoica (pareti non riflettenti); a casa le riflessioni sulle pareti ci riportano su di 4 dB e arriviamo a 91 dB. In più dobbiamo considerare che sono due le casse a suonare:  si sale di altri 3 dB ed eccoci a 94 dB a due metri dalle casse in casa nostra con 1 Watt di potenza applicato! Raddoppiando la potenza a 2 Watt avremmo altri 3 dB in più; con 100 dB ci sembrerebbe di stare in discoteca e staremmo usando solo 4 Watt. Insomma, lasciamo perdere i discorsi sulla potenza degli amplificatori, non hanno senso, non prendiamoci in giro…

Controlli di tono, loudness, equalizzatore? Inutili se non dannosi…

Per quel che riguarda la sezione di preamplificazione, l’unica cosa che conta veramente è il controllo volume. Vi sorprenderà che anche il controllo volume, il potenziometro, può essere o meno di qualità. Sappiate che qualunque circuito che si “intromette” tra il segnale originale e i diffusori ne degrada potenzialmente la qualità. Meno circuiti attraversa il segnale e meglio è. La semplicità è una grossa virtù in questo campo. Il potenziometro serve e quindi è meglio che sia buono. La cosa più importante però è sapere che i controlli di tono, quelli che regolano gli alti e i bassi (bass e treble) non servono a nulla se non a creare potenziali danni. Un amplificatore serio non ha bisogno di controlli di tono, che sono solo un inutile circuito in più (un esempio tra tantissimi, in basso, l’ottimo integrato italiano Unison Research Unico).

Made in Italy: Unison Research Unico

Se incappate in un integrato con i controlli di tono (molto facile) o, peggio ancora, con il pulsante del loudness, assicuratevi che esista anche un tasto per escluderli. In caso contrario provate (ed usate) un amplificatore con i controlli di tono sempre (!!!) in posizione neutrale (flat, in gergo) e con il loudness disinserito. Controlli di tono e loudness sono stati pensati per sopperire alla minore percezione dell’orecchio umano di frequenze alte e basse a volumi contenuti. Se un amplificatore si sente bene avolumi normali solo con correzioni del tono c’è qualcosa che non va o semplicemente non è un amplificatore abbastanza buono. Utilizzare a volumi elevati il loudness o i controlli di tono in posizioni che esaltino alti e bassi mette a rischio gli altoparlanti. Evitare! I controlli di tono potrebbero essere utili dato che una normale stanza casalinga attutisce certe frequenze mentre ne esalta altre, ma anche perché molte registrazioni sono carenti in alcune bande dello spettro acustico. I controlli di tono servirebbero a compensare in qualche modo le carenze o gli eccessi che ne risultano, solo che agiscono su due frequenze fisse ed è molto difficile che siano proprio quelle di cui abbiamo bisogno. Lo strumento utile a questo sarebbe un equalizzatore parametrico, con cui possiamo scegliere le frequenze che vogliamo regolare. Ma non è possibile, se non si è allenatissimi, riconoscere ad orecchio quali frequenze necessitano di correzione, ci vogliono gli appositi strumenti. Capite bene quindi che è meglio non curarsi di questi problemi e sistemare l’ambiente d’ascolto nel modo migliore possibile, visto che è il componente più importante del nostro sistema HiFi.

Il nuovo che avanza – la classe D (o T?)

Una menzione speciale però merita una classe di amplificatori che è apparsa da qualche anno e che utilizza una tecnologia denominata Classe D. Non mi dilungo sulle specifiche tecniche, se non che D non sta per amplificazione digitale, essa è analogica( fa uso di transistor o mosfet) ma vi sono chip digitali che trasformano il segnale prima di essere amplificato. Il risultato sono amplificatori più efficienti e che dissipano meno calore. Quello che è importante sapere è che i vari modelli che si sono succeduti a partire dal primo che ha riscosso un grande successo (il T-Amp, cosiddetto amplificatore in “classe T”, ma che in realtà è un’implementazione della classe D con chip della Tripath), hanno tutti fatto molto parlare grazie alla incredibile qualità sonora di cui sono capaci a prezzi decisamente bassi. Con meno di 100-200 euro si possono mettere le mani su amplificatori con bassa potenza, pochi Watt, spesso meno di una decina, ma di una qualità sconvolgente.

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Trends Audio TA10

Si parla addirittura di qualità comparabile a quella di amplificatori di prezzo 10 o addirittura 100 volte superiore! E’ il nuovo che avanza? Probabilmente si. In caso di primo impianto non si può non tenere in considerazione piccoli integrati di questo tipo, scegliendo tra marchi come Trends Audio (in alto a sinistra), Dayton (a destra), Scythe. Il problema può essere la
disponibilità di un solo ingresso, massimo due. Chi ha più di una sorgente deve scegliere un preamplificatore separato con più ingressi e magari optare per il finale in classe D, altrimenti, se si sale di prezzo, Nuforce offre un ottimo integrato con 4 ingressi. Se poi dobbiamo collegare anche un giradischi, allora è meglio optare per un integrato classico con ingresso fono. Di solito si ha il problema di dover accostare amplificazioni in classe D a diffusori ad alta efficienza (= alta sensibilità), vista la poca potenza a disposizione. Ripeto che pochi Watt, meno di 10, sono abbastanza per suonare in casa. Un amplificatore da 100 W è spropositato nella maggior parte dei casi. L’elevatissima qualità audio degli amplificatori in classe D non ne fa rimpiangere la quantità e del resto stanno cominciando a comparire anche amplificatori in classe D da qualche decina di Watt a prezzi a dir poco …imbarazzanti.


Come scegliere l’amplificatore su tnt-audio.com
Come abbinare amplificatore e casse su tnt-audio.com
La legge di Ohm su ilriparatore.it
I segreti della potenza di amplificatori e casse su axiomaudio.com
Il decibel su it.wikipedia.org