Intervista ad André Cognard

andre-cognard-portraitAndré Cognard è nato in Francia nel 1954. Aveva 17 anni quando iniziò ad insegnare aikido agli adulti aprendo cinque dojo in diverse città della Francia. Quattro anni dopo ha ricevuto il diploma di stato per insegnare judo, aikido, karate e kendo. Nel 1973 ha incontrato il maestro Hirozaku Kobayashi (1929-1998), discepolo diretto di O-Sensei Morihei Ueshiba. Dopo 25 anni di pratica col maestro Kobayashi, André Cognard fu designato suo successore a capo della Kokusai Aikido Kenshukai Kobayashi Hirokazu Ryu Ha. Nel 1982 fondò l’Académie Autonome d’Aikido, dove l’aikido è insegnato con metodi tradizionali ma anche col supporto teorico di psicologia, filosofia e medicina sia orientale che occidentale. Nel 2003 ha aperto a Bourg Argenal in Francia la Kobayashi Hirokazu Kinen Aikidojo, un dojo tradizionale dedicato al suo maestro dove si tengono i corsi per gli istruttori. Il maestro Cognard tiene seminari di aikido e aikishintaiso in tutto il mondo ed è autore di diversi libri sulle arti marziali. E’ anche uno dei rappresentanti più autorevoli del Dai Nippon Butoku Kai: il titolo di Hanshi gli è stato conferito nell’aprile del 2012 in occasione del Fourth World Butoku Sai tenuto al Butokuden di Kyoto in Giappone.
Aikido Journal (AJ): Oggi è il 24 giugno 2013, siamo a Las Vegas col maestro André Cognard che è in Messico e negli Stati Uniti per alcuni stage prima del suo ritorno in Francia. Uno degli scopi di questa intervista oggi è quello di parlare del maestro Hirozaku Kobayashi, uno dei grandi shihan giapponesi del dopoguerra, non così ben conosciuto al di fuori del circuito principale dell’aikido. Penso che una delle maggiori ragioni sia la politica ed il fatto che egli vivesse ad Osaka, non a Tokyo.
Parliamo del suo primo incontro con il maestro Kobayashi, di cosa l’impressionò di più e di quale impatto abbia avuto sulla sua carriera di aikidoka.
andre-cognard-throwing-01André Cognard (AC): Ero un ragazzino piuttosto scapestrato. Volevo praticare arti marziali sin da molto piccolo, molto, molto piccolo, ed i miei genitori non erano d’accordo. Non c’entrò nulla la famiglia, fu una cosa molto complicata. Non c’erano dojo, il più vicino era a 50 km da casa. Non era proprio possibile. Dovetti insistere duramente per poter cominciare.
Ho iniziato con l’aikido nella ACFA, la Association Culturelle Française d’Aikido; era il gruppo del maestro Nobuyoshi Tamura in Francia. A quel tempo, il gruppo del maestro André Nocquet non era quello ufficiale. Erano affiliati alla FFJDA. il gruppo del maestro Tamura, che rappresentava l’Aikikai, non era riconosciuto ufficialmente in Francia. Cominciai in quel gruppo e conobbi il maestro Tamura. Ero fortunato ad essere in un dojo dove gli insegnanti invitavano a turno maestri come Tamura e Noro. Li vedevamo spesso, è lì che ho cominciato. Ho praticato con Masamichi Noro anche a Parigi. Da adolescente ci andavo di continuo e grazie al maestro Noro ho potuto anche incontrare Katsuaki Asai che veniva molte volte a Parigi; erano buoni amici. Spesso c’erano tutti e due e ci si poteva allenare tutto il giorno.
E’ difficile non essere critici, ma a quel tempo l’atmosfera nel gruppo non era molto buona, c’era molta rivalità.
AJ: Per via della politica?
AC: Si, essenzialmente per la politica. Nel mio gruppo ci veniva detto che la federazione era il nemico e non dovevamo andarci. Eravamo costretti a scegliere gli insegnanti, dovevamo farlo ogni tanto. Da principiante è una cosa che confonde abbastanza.
La mia curiosità mi spinse ad andare a vedere Hiroo Mochizuki (il figlio di Minoru), che era già in Francia. Per un po’ ho praticato con lui. Poi sono arrivato ad un punto in cui non ero soddisfatto. Praticavo judo e karate, avevo cominciato seriamente col kendo. E non ero soddisfatto. C’era qualcosa che proprio non riuscivo a capire. Si parlava tanto di armonia, ecc., ma vedevo solo rivalità. Pensai davvero di smettere. Avevo 19 anni ed un giono mi guardai allo specchio e mi dissi: “Ora devi trovare il tuo maestro, altrimenti smetti”.
hirokazu-kobayashi-1929-1998Non avevo idea di dove trovare un maestro, così mi venne in mente André Nocquet. Non lo avevo mai incontrato, ma pensai: “Forse c’è qualcosa, dato che sono tutti d’accordo nel criticarlo. Loro non soddisfano le mie aspettative, ma sono tutti d’accordo nell’attaccarlo. Magari lui ha proprio quel che cerco.”  Mi trasferii a Parigi per due o tre mesi al suo dojo per vedere cosa succedeva. Allora il dojo era a Rue Servan in Boulogne-Billancourt, un quartiere periferico ad ovest di Parigi. Oggi non c’è più, è stato raso al suolo da un incendio. Cominciai così a praticare con lui. Era lo stesso aikido che avevo già visto altrove, non vedevo grandi differenze e mi chiedevo il perché di tanto criticismo. Non capivo. Dopo un paio di mesi ne avevo abbastanza. Era la stessa cosa.
Alla fine decisi di smetetre con l’aikido. Era il motivo per cui ero andato a Parigi, così presi tutte le mie cose, le caricai in macchina e partii. Sull’autostrada pensai che non era giusto, non ero stato corretto con il maestro Nocquet, dovevo dirglielo. Così tornai indietro, raggiunsi il dojo e aspettai la fine della lezione. Gli dissi “Maestro Nocquet, ho deciso di smettere con l’aikido”. Continuai, “Sono venuto da lei perché non la conoscevo ed ero insoddisfatto”. Portava i capelli molto corti all’epoca, sembrava molto preoccupato. Era fatto così, si grattava la testa. Poi disse, “Ascolta, c’è un dojo vicino alla piscina di Boulogne; domani ci sarà un insegnante, si chiama Kobayashi, è 8° dan. Dovresti andare a vederlo, ti dovrebbe piacere.”
Non avevo mai sentito nominare Kobayashi fino ad allora e l’8° dan era un grado molto alto all’epoca. Tamura e Noro erano solo 6° dan. E tutti ci dicevano costantemente che esisteva solo il maestro Tamura. O-Sensei ha solo un discepolo, il suo figlio spirituale, o passi per lui o non andrai da nessuna parte con l’aikido. Ce lo sentivamo dire continuamente, così mi sembrò strano tutto questo: o Kobayashi era un impostore, o mi avevano mentito per anni. Volevo saperlo. Andai lì e tutto accadde molto spontaneamente.
I maestri che avevo consociuto fino ad allora meditavano rivolti verso di noi. Quando il maestro salì sul tatami, si mise a meditare rivolto al kamiza. E solo a guardarlo camminare cominciai a sudare, il mio battito accelerava; fu un’emozione fortissima. Non sembrava stesse camminando, scorreva, come se avesse le ruote, come se non dovesse muovere i piedi, come se fosse una statua che scivolava. Si sedeva davanti al kamiza, meditava, si girava verso di noi e salutava. Quando sollevò lo sguardo e vidi il suo viso, ebbi la sensazione di conoscerlo, il suo volto mi era familiare. La mia prima reazione fu: “Non è giapponese!”, ma poi ragionai: “Ma certo che è giapponese”. Si alzò e fece il misogi. Era la prima volta che vedevo farlo. Vi farò vedere dopo quello che fece, lo faccio ancora. Nessuno sapeva cosa stava succedendo, eravamo persi. Poi si fermò e mi disse di avvicinarmi, mi diede un segnale, diretto, immediato.
A quel tempo la gente aveva paura di lui per via del suo look, il taglio corto, i baffi sottili. In realtà era molto gentile, ma la gente ne aveva paura a causa del suo aspetto. Mostrava le tecniche, ma non proprio come O-Sensei. Eseguiva nikkyo, irimi, yoko irimi, ecc., poi si metteva in un angolo, lavorava da solo e correggeva molto poco. Molte persone erano alquanto terrorizzate. Dopo qualche tempo cambiò molto, sorrideva spesso, si fece crescere i capelli e tutti pensarono che fosse una persona gentile. Lo era, tra la gente, in generale, ma come maestro, ad averci a che fare da vicino, era molto impegnativo.

AJ: Chi l’aveva invitato per il primo stage?
AC: André Nocquet lo aveva invitato. Fu lui a farlo le prime volte, nel 1971 e 72 a La Baule.
AJ: Mi chiedo come il maestro Nocquet abbia conosciuto il maestro Kobayashi.
AC: Penso sia successo in Giappone, ne sono quasi convinto, a Tokyo. Poi Nocquet cominciò ad andare ad Osaka per vederlo. Questo è quello che ho sentito.
AJ: Aveva finalmente trovato il suo maestro?
AC: Si, mi fu chiaro dall’inizio.
AJ: Dal punto di vista della pratica e dell’allenamento, come è cambiata la sua vita da allora?
AC: Alla fine dello stage ero eccitato, per diverse ragioni. Primo, perché mi aveva chiamato in mezzo davanti ad un centinaio di persone. Fu stupefacente, fu come la risposta ad un sogno, la ricerca del maestro… ero emozionato. Ma ci fu pure qualcosa che mi sorprese. Quando si è uke, di solito si cade perché c’è il dolore, perché si è forzati a farlo. Lui faceva immediatamente nikkyo ed irimi, la prima cosa che fece a me. PAM! PAM! e non ci capivo nulla. Non potevo immaginare come, ero a terra e poi, sospeso a mezz’aria, a un metro dal terreno. Nessun dolore, niente. Questo era il suo aikido. Era tipico da parte sua e mi soprese molto. Non potevo crederci! Un altro tipo di aikido!
Andai a trovarlo alla fine dell’alllenamento, c’era un interprete e gli chiesi di tradurre. Ero entusiasta, “E’ stato bellissimo, stupefacente, dite cosa devo fare e lo farò”. Ascoltò, mi guardò, fece “pfff” e se ne andò.
andre-cognard-hirokazu-kobayashi-01E quello fu l’inizio di qualcosa di molto duro. Ero deciso a seguirlo ovunque andasse in Europa e lo feci. Ma non mi guardava mai, tranne quando gli facevo da uke, dato che ero lì (a lato). Fuori dal tappeto non esistevo. Finché un giorno mi fece un cenno alla fine della lezione, così, ed io lo seguii. Mi portò in un ristorante, ci sedemmo e lui cominciò a parlarmi in giapponese, di cui io non capivo una parola.
AJ: Quanti anni aveva lei a quel tempo?
AC: Avevo 19 anni quando lo incontrai per la prima volta. Mi parlava giapponese per ore ed ore. Gradualmente cominciai a capire e dopo un po’ anche a dire qualcosa. Non ho mai studiato il giapponese, neanche una parola, non ne avevo il tempo. Ero così preso dall’allenamento con lui che non trovavo il tempo di imparare. Un giorno mi disse: “Ora devi venire con me in Giappone”. E così andai. La prima volta restai tre mesi. Quando tornai mi disse che non aveva più bisogno di un interprete: “Tu traduci”. “Ma, maestro, non ne sono capace”. “Intuizione. Se non comprendi intuitivamente non capirai mai nulla. Comprendi intuitivamente ed anche se ti sbagli loro capiranno; non comprendi intuitivamente e puoi tradurre bene quanto ti pare, ma loro non capiranno”.
Era sempre così. Devi sentire, intuire, sentire, intuire. Era decisamente il suo punto di vista sulla trasmissione della conoscenza.
AJ: Ed in Giappone ha cominciato a studiare seriamente il giapponese?
AC: Non ho mai studiato il giapponese.
AJ: Mai?
AC: Mai. Lui mi parlava, solo quello, come mia madre mi ha parlato in francese. Mi parlava e basta, tutto qui.
AJ: Neanche la calligrafia?
AC: Niente. Non ho mai studiato… un po’ di katakana ed hiragana, qualche kanji. Mi parlava, nient’altro. All’inizio usava molto l’Osaka-ben, il dialetto di Osaka, ma io non lo sapevo. Quando parlavo con gente di altre zone non capivo quello che volevano. Ridevano e dicevano, “No, questo è Osaka-ben”. Poi me ne sono reso conto, ma ci è voluto tempo.
AJ: C’erano altri europei al dojo?
AC: No, a quel tempo no.
AJ: Si tratta del Buikukai?
AC: Si, il Buikukai. C’era il Budo Center e lo Showacho Dojo, ma il grosso degli allenamenti aveva luogo presso le università.
AJ: Quando andò in Giappone, aveva già diversi dojo in Francia ed Italia?
AC: Quando cominciai ad andare in Giappone avevo già cominciato ad insegnare in Italia, ma non avevo un dojo, non avevo ancora un gruppo in Italia. Insegnavo in dojo di altre organizzazioni. Ma in Francia si, avevo già aperto diversi dojo. Avevo un carattere forte ed ero piuttosto iperattivo; facevo molte cose.
AJ: Lui veniva solo ai dojo del gruppo o andava anche da altri?
AC: No. Non solo nei miei dojo, grazie al cielo. Ero con lui un giorno nel 1977 e mi chiese: “Vuoi fare davvero aikido?” Ero convinto di fare solo quello, perciò fui piuttosto sorpreso dalla domanda. Risposi “Certo, maestro, lo voglio davvero”. “D’ora in poi sarai un professionista”. Questo era il suo modo di vedere. E’ la tua ragione di vita, devi lavorare ed impegnarti davvero. Aveva anche un altro punto di vista: per essere un buon professionista bisogna avere “fame”. In Francia, a quel tempo, sapeva che sarebbe stato impossibile, era terribile, non c’erano professionisti. Penso che sapesse che l’avrei fatto comunque. E’ stato davvero difficile.
Nel 1981 mi disse: “Ascolta, se vuoi davvero sviluppare il mio aikido penso che dovrai lasciare il sistema delle federazioni. Non sarebbe possibile al suo interno. Hanno una visione sportiva e tu devi invece adottare quella tradizionale: un dojo, un insegnante ed i discepoli. La gente non deve mettersi a parlare per sapere cosa bisogna fare”. Disse: “Se vuoi, ti darò delle linee guida, ma devi creare qualcosa di indipendente” Allora, nel 1981, dissi, va bene. Avevo 5 dojo e me ne prendevo cura costantemente, compreso uno molto grande a Lione dove c’erano circa 180 persone. Dissi di si, l’avrei creata, ma prima ho bisogno di insegnanti qualificati – così creai prima una scuola per gli insegnanti, che esiste ancora. Presi gli studenti più anziani e lavorammo su ciò che c’era da lavorare per arrivare a preparare efficientemente gli insegnanti. Nel 1982 registrammo ufficialmente la Académie Autonome d’Aikido conosciuta come 3A. A tutt’oggi è la più vecchia organizzazione di aikido in Francia.
hirokazu-kobayashi-demonstrating-pinAJ: Questa intervista sarà pubblicata in inglese, potreste perciò spiegarci qualcosa sulle dinamiche delle organizzazioni francesi?
AC: Fino al 1972, penso che la sola organizzazione fosse la FFJDA, forse per più a lungo, non ricordo bene. Poi ci fu la UNA, l’Union Nationale d’Aikido. Ci fu un tentativo di unificare le scuole dei maestri Tamura, Nocquet e Mochizuki che fallì in pochi mesi. Era il 1975, ricordo bene, ci fu una separazione molto rapida. Nel frattempo l’associazione di Tamura fu riconosciuta ufficialmente. Questo fu uno degli sviluppi.
I gruppo del maestro Nocquet divenne clandestino, praticamente illegittimo. Il maestro Mochizuki penso avesse abbandonato le speranze sul mondo dell’aikido e andò avanti per la sua strada. No so quale fosse il nome della federazione a quel tempo. Io lasciai quella ufficiale per creare la 3A. Non fu facile. Le mie intenzioni furono fraintese e fui attaccato e criticato. Ma stavo seguendo il mio percorso, quello che il maestro Kobayashi mi aveva mostrato. Non mi importava cosa pensassero gli altri a quel tempo. Non mi interessava il loro punto di vista, mi interessava solo il suo.
AJ: So che dopo tutto questo in Francia ci furono i diplomi di stato. E’ successo prima che…
AC: Avevo già il diploma di stato, ero istruttore certificato dal 1975. A quel tempo c’erano tre livelli ed il avevo il terzo livello di istruttore per judo, karate ed una opzione per l’aikido, che acquisii nel settembre 1975.
AJ: Così aveva il diritto di insegnare aikido professionalmente?
AC: Si, esattamente.
AJ: Ed è per tutta la vita?
AC: Si, il diploma di stato è un attestato professionale.
AJ: Quindi creò l’Accademia Indipendente di Aikido seguendo i suggerimenti del suo maestro?
AC: Si, non era un ordine, era sempre molto attento a non costringerci. Ma ci incoraggiava. In realtà mi aiutò molto. Ad esempio, creando programmi per gli esami, elencando le tecniche per ogni livello kyu. Era molto coinvolto nel nostro sviluppo.
AJ: Era di Osaka.
AC: Si.
AJ: Sono abituati agli affari, no? E’ una città di mercanti, magari aveva una qualche preparazione…
AC: Può darsi, ma a livello personale non era mai interessato al denaro. Se organizzavamo un esame richiedevamo un piccolo contributo, ma lui non ha mai preso nulla. Il denaro restava al gruppo. Era molto diverso, speciale. Quando veniva per uno stage cercavamo di determinare un compenso ma lui non decideva mai nulla. Diceva, “decidi tu, fa come vuoi”. Che io gli dessi 500 e 5000 euro… rispondeva grazie, grazie mille. Non era un suo problema, davvero. Da quel punto di vista era molto libero. Fu molto sorprendente.
AJ: In Francia, per quel che riguardava i giapponesi, c’era il maestro Tamura, Noro a Parigi e Tada in Italia. Lei ha creato una organizzazione indipendente dove c’era un maestro giapponese e senza dire nulla all’Hombu Dojo? La cosa creò problemi?
AC: Certo che li creò. Non per me, ma per il maestro Kobayashi. Era convinto che la gente dovesse essere libera di fare ciò che voleva. Diceva, “L’Hombu Dojo non è stato voluto da O-Sensei, non dipendeva dalla sua volontà. O-Sensei non si è opposto perché si trattava del figlio, ma lui non era completamente d’accordo. O-Sensei ha sempre sostenuto che ognuno doveva essere libero di insegnare. Così, dato che io sono uno studente diretto di O-Sensei, non sono interessato a ciò che pensa l’Hombu Dojo.”
In Giappone, per lealtà verso la famiglia Ueshiba, verso il Giappone ed i suoi principi, Kobayashi teneva esami per l’Aikikai. Ma non aveva contatti continui, contatti reali. Diceva, “Questa è l’espressione indiretta della mia lealtà verso O-Sensei e la famiglia Ueshiba. Ma a parte questo, non rispondo a nessuno. Faccio quel che faccio perché O-Sensei avrebbe fatto così, avrebbe pensato così”. E Kobayashi mi incoraggiò a fare allo stesso modo. Ecco perché, specialmente in Francia, in realtà non solo in Francia, io non ho una buona reputazione. La gente pensa che siccome non sono nel sistema non sono una persona seria. Ma è il sistema francese a non essere serio.
andre-cognard-throwing-02Ho allenato istruttori in diverse organizzazioni, in Italia, Svizzera, Germania; ho insegnato in India, Indonesia, dappertutto, ma in Francia litigano; così è in Francia, questi sono i francesi.
AJ: So che la Francia è la nazione con il più alto numero di praticanti di aikido.
AC: L’ho sentito anch’io.
AJ: Più che in Giappone, più che negli Stati Uniti, ma ufficialmente il governo controlla tutto. Io, essendo americano, non potrei insegnare aikido in Francia.
AC: No, non senza un diploma di stato francese.
AJ: Quindi esiste questa restrizione, in una nazione di media grandezza, che ha il maggior numero di praticanti! Che ne pensa a riguardo?
AC: Prima di tutto, penso che le statistiche francesi siano esagerate.
AJ: Di molto?
AC: Francamente si. Qualche anno fa dichiaravano 20 o 25 mila praticanti. Tutt’a un tratto si è saliti a 30, 40, 60.000. Penso sia molto esagerato. Non so quali siano le fonti, ma mi piacerebbe davvero sapere da dove vengano queste informazioni. Mi piacerebbe proprio, non ci credo. Se avessimo sviluppato corsi per bambini e asili come il judo, allora capirei. Statisticamente, i numeri del judo sono aumentati in modo impressionante perché i genitori non sapevano cosa far fare ai figli e così li iscrivevano. Ma per l’aikido non è questo il caso. Quindi non vedo come sia possibile, o mi sono perso qualcosa, che il numero sia raddoppiato o triplicato. Non mi convincono le statistiche, non dico di aver ragione, ho i miei dubbi. Questo è un punto.
L’altro punto è perché la Francia? Credo ci siano molti più judoka in Francia che nel resto d’Europa e negli Stati Uniti. Vale anche per i karateka, e ci sono più kendoka in Francia che altrove. Credo ci sia qualcosa di particolare nello spirito francese che lo rende affine alle arti marziali. Ho tenuto una lezione nell’ambito del 150esimo anniversario dell’amicizia franco-giapponese. L’Ambasciata Francese mi invitò per una conferenza sul budo e lo spirito francese. La tenni in francese con un interprete. Forse c’è qualcosa nello spirito francese, non so, non riesco a individuarlo, sono francese e per me è difficile farlo. So che in generale i francesi sono litigiosi, generalmente pretenziosi ed arroganti… (ride). Ma è vero! Lo dico perché ogni volta che li incontro all’estero ne ho fastidio. Me ne vergogno, particolarmente in Giappone, mi vergogno di dire che sono francese. Non rispettano nulla. Forse per farsi coraggio? E’ un po’ ambiguo. Forse sanno di essere così senza regole da aver bisogno della disciplina giapponese? Nel mio caso si. Ero così disordinato che avevo davvero bisogno di schemi severi. Forse per questo sono stato attratto da Kobayashi ed i francesi lo sono dalle arti marziali. Non lo so, magari è vero il contrario, forse sono così litigiosi, così impulsivi che alla fine gli sta bene così. Non so.
Continua…

Ringraziamo Andrea Debiasi per la sua assistenza come organizzatore ed editore di questa intervista per la pubblicazione su Aikido Journal.


Traduzione dall’originale in inglese a cura di Pasquale Robustini