L'Aikido e l'ascolto dei tessuti

philippe
Durante i nostri studi di osteopatia, ci è stato insegnato che i tessuti hanno una loro vita. Tutti i tessuti, indipendentemente dalla loro composizione, vivono, muoiono e si riformano al ritmo della vita delle cellule che li compongono, ma hanno un movimento proprio, che ci dà la mobilità e la libertà senza le quali non potremmo vivere.
Per noi sportivi è importante cominciare a capire cosa sia un’articolazione e cosa sia una fibra muscolare. Un’articolazione è l’incontro di due ossa che si adattano perfettamente tra loro e si muovono con libertà di movimento in tre piani dello spazio. Perché questa libertà continui, dobbiamo conoscere perfettamente le direzioni delle superfici articolari che vanno a produrre gli assi dei diversi movimenti che le nostre articolazioni possono effettuare. Perché un’articolazione sia sana e viva, deve essere in grado di muoversi con una ampiezza e una qualità del movimento uguale in tutti e tre i piani dello spazio. Non entreremo nei dettagli anatomici, ma per farla semplice possiamo dire che per poter eseguire liberamente dei comuni movimenti, l’articolazione deve essere libera di muoversi dall’alto verso il basso, da destra a sinistra e avanti e indietro. Si intende più la qualità di questi movimenti che la loro ampiezza. Per le fibre muscolari, è importante capire che, se le confrontiamo con una corda che teniamo tra le mani, le due estremità della nostra fibra saranno inserite nell’osso, al contrasto di quelle di una corda che, se avviciniamo le nostre mani, si allenta. Per allungare un muscolo, con un numero immenso di fibre muscolari, dobbiamo allontanare i punti di inserzione di questo muscolo.
gouttardL’Aikido è la nostra arte e allo stesso tempo un modo per mettere in evidenza queste leggi. Il nostro problema in Aikido è quello di mobilizzare un partner che ha le stesse nostre articolazioni, ma che, per il suo passato e per la sua esperienza, ha sviluppato una funzionalità ed una sensibilità diverse dalla nostre. La nostra ricerca ci deve arrivare con i mezzi fornitici dal fondatore M. Ueshiba, per stabilire un processo in cui entrambi i partner possano lavorare su movimenti più ampi, per consentire alle articolazioni di restare mobili e sulle fibre muscolari, per mantenere la massima estensibilità dei muscoli. Pertanto, i nostri studi di osteopatia ci hanno permesso di capire come recuperare la mobilità e l’ampiezza di movimento che le sollecitazioni, le lesioni e l’usura del corpo hanno bloccato.
Prendete ad esempio l’articolazione del gomito: il muscolo che la fa muovere si chiama bicipite brachiale. Quando il gomito è flesso la mano si porta verso l’interno del corpo. Quando è in estensione la mano si porta verso l’esterno. Prendiamo ad esempio la tecnica del Kote gaeshi. Kote gaeshi si traduce con “piccola inversione della mano”. Il che significa per noi un estensione del gomito all’inizio della tecnica e, quando sentiamo che il braccio del partner è arrivato alla massima estensione, l’estensione che abbiamo provocato noi, abbiamo solo bisogno di scaricare la pressione e di seguire il movimento naturale del gomito che richiede solo di tornare in flessione. Per noi un buon Tori è quello in grado di portare il braccio di Uke alla massima estensione e rilasciare questa tensione seguendo il movimento naturale del braccio di Uke. philippe1Questa sensazione l’abbiamo studiata in maniera approfondita durante i nostri studi di osteopatia: quando il tessuto è danneggiato, è vulnerabile e la lesione tende a spingersi ancor più in profondità. Per cercare di rimettere il tessuto in equilibrio, dobbiamo inizialmente andare in direzione della lesione e, per mezzo della respirazione, aumentarla, per poi lasciare andare il tessuto che ritrova da solo il senso naturale del movimento. Questo è ciò che cerchiamo di mettere in questa pratica durante il nostro allenamento. Non cercare mai di dirigere uke tutto il tempo (mai causare stress) se la tecnica richiede una flessione nel finale: in Kote gaeshi, Shiho nage, mettere prima il braccio in estensione e poi ascoltare quello che il braccio di uke può fare e seguire il movimento nelle direzioni che rispettano le diverse articolazioni. Se invece il braccio di Uke alla fine della tecnica deve essere esteso come in Ikkyo, Nikyo, Sankyo, abbiamo bisogno di mettere il braccio di Uke prima in massima flessione, sempre nel rispetto delle direzioni delle articolazioni messe in gioco, poi lasciar andare il braccio e seguirne il movimento che lo riporterà ad una posizione di naturale estensione.

Kotegaeshi a 0.58′, 1.17′ e 1.22′

E’ nostro parere che la pratica della nostra arte debba sviluppare in noi la percezione dell’altro, come il corpo reagisce a tensioni e rilasci a cui non è sempre preparato. L’Aikido, che è un’arte sia di contatto che visiva, uditiva e tattile, deve indurci a sviluppare le qualità fisiche e mentali del nostro partner e, attraverso questo sviluppo, dobbiamo arricchire il nostro corpo di sensazioni nuove che ci portano ad essere migliori. Da soli l’Aikido non esiste: abbiamo bisogno di toccare ed essere toccati. A volte questi contatti danno fastidio, allora dobbiamo lottare contro le nostre paure, le nostre ansie e il desiderio di non essere gentili gli uni con gli altri. Solo una tecnica impeccabile può aiutarci a superare queste paure. Come tecnica impeccabile non intendiamo la maestria tecnica, ma la tecnica che dà piacere a un altro, consentendogli di diventare un partner diverso da quello che era all’inizio della pratica.
gouttard2L’Aikido è uno “sport” che si potrebbe paragonare al “body building”. Costruisce il corpo. Sappiamo bene che “body building” = Arnold Schwarzenegger. Ma senza giungere a tale livello di volume, tutti i professionisti che hanno lavorato per anni hanno rafforzato i loro corpi. Quando rafforzariamo un muscolo allunghiamo il suo muscolo antagonista. Quando allunghiamo un muscolo ne rafforziamo l’antagonista. Ecco perché il nostro corpo è armonico e forte quando tutti i nostri muscoli hanno la stessa tensione e la stessa elasticità. Un bodybuilder lavorerà con il carico che ha scelto, mentre per noi in Aikido è necessario che il carico sia in grado di adattarsi al “bodybuilder” in noi, sia come Uke che come Tori. Per noi questo è Aikido: essere il più forte possibile per rafforzare l’altro. Essere il più forte per dare fiducia all’altro. C’è solo un modo per farlo: “rispettare il corpo dell’altro, senza pianificare nulla e prestando attenzione a tutte le sensibilità diverse dalle nostre.” Ecco perché pratichiamo costantemente con la stessa sensazione di “non essere mai arrivati”.


Articolo originale in francese di Philippe Gouttard
Traduzione a cura di Pasquale Robustini