La ricerca del bambino perduto

USA - Mickey Mouse Sfilata 4 luglioInseguire i sogni o diventare “adulti”?
Credo che gli Stati Uniti abbiano fatto un ottimo lavoro di esportazione culturale facendoci sognare. C’è chi, non a torto, la chiama proprio colonizzazione culturale. Sono cresciuto a pane e fumetti Marvel, quindi la mia prima contaminazione è stata dovuta all’amore per l’Uomo Ragno (oggi si dice Spiderman anche in Italia, la colonizzazione è più spinta), ma il legame più profondo era per Devil (Daredevil nella lingua originale), anche se non ero certo immune ad Iron Man, Capitan America, Thor, Fantastici 4 e gli altri. Tutto si svolgeva negli Stati Uniti. Aggiungiamo che in infanzia giocavo con soldatini dei Marines americani e che pure il mio fumetto preferito italiano, Zagor, è ambientato nelle foreste del nordest degli Stati Uniti della prima metà del 19º secolo ed il gioco era fatto…

Poi è arrivato l’assalto dei telefilm: l’americano Start Trek, ma anche UFO e Spazio 1999, entrambi di produzione britannica con presenza strategica di protagonista statunitense; i western come Ai Confini dell’Arizona e Bonanza (tengo a precisare che simpatizzavo per i pellerossa); e via coi polizieschi Starsky & Hutch, Kojack, Hill Street, Magnum PI  (ma primo fra tutti Sulle Strade della California), varie situation comedy, da Happy Days ai Robinson, senza dimenticare Arnold ed i Jefferson. Poi cinema hollywoodiano e non, ma soprattutto la musica, tra la migliore al mondo, dal blues, al jazz al rock. Per non parlare del software e dell’hardware (dire strumenti elettronici e programmi informatici è troppo difficile?) che tutti utilizziamo, dei vari siti di social networking (reti sociali, si può dire?), o piattaforme come questo stesso b-log (vallo a tradurre, poi: web-log = “diario in rete”?), che provengono quasi totalmente dagli USA. Come resistere a un tale assalto?

E così sognavo l’avventura, immaginavo un giorno di trasferirmi in America ed entrare nel sogno. Ho imparato l’inglese, ho lavorato brevemente in America, ho sposato lì la donna (italiana) con cui avevo iniziato la relazione proprio a New York.

462854381_7aedea28d3_z
Dall'album "New York" sul mio spazio Flickr

Ma ormai ero cresciuto ed avevo conosciuto l’America vera, non quella dei sogni. A dire il vero, ai non americani, abituati a vedere certi scenari solo al cinema e in TV, essere negli USA fa sempre una certa impressione, sembra di essere in un film, sa di un “non so che” di avventuroso. Ma non è tutto come nei film, ce ne si accorge subito.

Probabilmente tutta quella fascinazione per un mondo avventuroso, se filtrato attraverso i film e la musica, non è altro che voglia di essere diversi, di abbandonare la vita monotona del proprio paese, lo studio o il lavoro di tutti i giorni. A lungo ho creduto anch’io che la mia voglia d’America dell’infanzia fosse semplicemente questo. Ma poi ho rivalutato tutto. Prima l’esperienza mi ha fatto capire la differenza tra l’America di musica e film e quella reale; poi ho capito che il mio non era un rifiuto della mia identità, né quello di diventare adulto.

Si, perché è proprio quest’ultima parola da valutare bene. Adulto. Diventare grande. Siamo sicuri che diventare grandi sia davvero come il significato della parola farebbe credere? Cosa ha un adulto più di un bambino? A guardar bene diventando adulti si perdono diverse qualità, a vantaggio di altre, ma sotto certi punti di vista il bambino è nettamente più avanzato; poi lo educhiamo, gli insegniamo a diventare un triste ingranaggio della nostra società dei consumi. Crescendo diventiamo indipendenti, impariamo a leggere e scrivere, ci facciamo una cultura, ma perché tutto questo va a discapito della ricerca del piacere, del saper vivere il momento presente, del meravigliarsi ed incuriosirsi di tutto ciò che ci circonda, dell’essere tutt’uno con l’universo?

sgridare-bambina

Oggi sono certo che durante la mia “crescita” percepivo che i miei educatori, genitori, insegnanti di scuola, preti, ecc., fossero alacremente impegnati a farmi perdere tutto questo (anche se in buona fede). Ma io facevo resistenza. Visto con gli occhi della gente comune, del pensiero omologato, ero il tipico bambino che non vuole “crescere”. Le persone “mature”, forti di avere tutti subìto lo stesso procedimento di omologazione, mi additavano come immaturo, in una sorta di ripicca tipica di chi ha dovuto subire una coercizione nei confronti di chi si rifiuta di farlo. Io non ero il classico bimbo ribelle problematico, assolutamente no, ma mi rifiutavo di farmi cambiare dall’esterno, facevo resistenza se il contrario significava perdere la capacità di sognare, la possibilità di divertirsi, di godere a pieno della vita. Però, dopo qualche anno mi piegai e persi la lotta e tutte queste capacità tipiche dell’infanzia, una dopo l’altra. Ero un ragazzo malinconico ed introverso, a volte anche triste. Tendevo alla timidezza e sognavo di non essere più così, di non essere quel che ero (diventato). A rivedere tutto questo oggi, in realtà sognavo di tornare come ero; non bambino, nel senso comune della nostra cultura, ma volevo ritrovare il bambino perduto che era ancora dentro di me e che avrei voluto non perdere. Non fu per niente facile, ma direi di esserci riuscito, anche se c’è ancora da lavorare. Ho dovuto prima lottare contro tutti i blocchi che mi impedivano di rendermi indipendente. Fatto questo ho ripreso a sognare, addirittura realizzando i sogni qualche volta.

Qualcuno dice che i sogni sono premonizioni. Basta accorgersi dei segnali che ci arrivano apposta per indicarci come raggiungerli. Il più delle volte non ce ne accorgiamo, siamo educati a farlo: guai essere diversi, bisogna vivere come gli altri, fare i dovuti sacrifici in questa valle di lacrime, tanto poi andrà meglio nell’altro mondo. No. Non è vero. È una trappola ed io stavo per caderci.

Siamo su questa terra per realizzare il pieno sviluppo del potenziale umano. È una cosa grossa, non uno scherzo. E non si realizza certo soffrendo e sacrificandosi per godere di una migliore vita dopo la morte. Bisogna farlo mentre si vive. Il significato originale della parola “peccato” pare sia questo: fallire nel vivere una vita piena, nel realizzare il pieno potenziale umano.

Ma cosa fa di un essere umano una persona pienamente realizzata? Non è facile dare una risposta, ma sicuramente non è uniformarsi alla massa, omologarsi, adeguarsi agli stereotipi, sia nei comportamenti che nei giudizi, nelle idee. Il conformismo è la più grande arma che la nostra società ha a disposizione per uniformarci ed impedirci di diventare individui originali, pensanti, liberi. Il diverso spaventa, viene osteggiato e quindi costretto ad omologarsi, pena l’isolamento. E chi vuole essere isolato? Meglio adeguarsi ed essere accettati. Quindi tutti noi, per non disturbare il prossimo, ci dovremmo comportare uniformemente, diventando adulti uguali agli altri, che si cerchino un lavoro rispettabile, mettano su famiglia, che guardino la TV per poter discutere degli stessi programmi, le stesse partite di calcio, di quale sia il migliore smartphone e così via. Chi rifiuta di seguire questo modello dà fastidio: chi crede di essere?

La società lavora alacremente per creare individui omologati, a cominciare dalla scuola. Chi rifiuta di essere cambiato viene tacciato di essere uno che rifiuta di crescere. È così che mi sentivo io quando ho cominciato la scuola. Rifiutavo di piegarmi. Non che facessi il ribelle, ripeto; studiavo e mi comportavo educatamente. Ma dentro di me decidevo che non mi avrebbero cambiato. Col tempo persi questa capacità di resistenza. Se agli inizi tentavo disperatamente di non perdere contatto col bambino che cercavano di affossare, uscito dal sistema educativo, finita l’università, ero anch’io piuttosto omologato. Ma il malessere che provavo ogni qual volta tentassi di entrare nel mondo produttivo, nel mondo degli “adulti”, nel ciclo del lavoro per poter comprare oggetti che non mi servono, lo capisco solo oggi, ma non era immaturità, come volevano farmi credere, bensì l’istinto di rifiutare il cambiamento voluto da altri, dal mondo esterno. Anche qui devo chiarire: non sto facendo l’apologia del mammone italico, non lo sono mai stato; non intendo che sia un bene gingillarsi senza far nulla con la scusa di essere diversi e non adatti a questo mondo consumista. Bisogna comunque rendersi indipendenti dalla famiglia di origine; accettare un lavoro non è una sconfitta, se si è consapevoli di cosa si è, che si è parte di un ingranaggio del sistema produttivo. Non ho una soluzione al problema di come cambiare questo mondo disumanizzante. Credo (spero) che basti saperlo bene, per non farsi risucchiare, omologare, abbrutire.

omologazione

Mi guardo attorno mentre vado al lavoro, sul treno, nel tram, in autobus o a passeggio. Scruto volti nel fiume di gente che ogni mattina, tutti assieme, si avvia verso il posto di lavoro, verso il dovere, nel tentativo di trovare qualcuno sul cui volto non si legga la sconfitta. E’ molto difficile riconoscerlo, specialmente tra persone di un’età meno giovane. Del resto cosa possiamo fare? Il mutuo o l’affitto vanno pagati, bisogna fare la spesa, pagare le bollette, mantenere la famiglia. Bene. Ecco la trappola, il dovere. Così nessuno si può ribellare, nessuno oserà mai cambiare, a nessuno conviene: e che faccio, mi licenzio e mando per strada la famiglia? No. È su questo che conta il sistema, che ha bisogno di ottimi lavoratori che facciano arricchire chi ne ha in mano le redini, sia col frutto del loro lavoro che con i loro inutili acquisti, perché avremo sempre bisogno del modello più recente di cellulare, di automobile, di televisore piatto o di capo di abbigliamento. E acquistando merci facciamo il gioco di chi davvero si arricchisce, contento che la massa si comporti in modo omologo, che la scuola non insegni a pensare ma a diventare ottimi consumatori, anzi, che le famiglie stesse contribuiscano a creare individui che si fidino sempre meno degli altri (ottimo per evitare cambiamenti) e che di umano abbiano sempre meno. E così si va avanti aspettando il venerdì, la partita di calcio, le ferie al mare…

Ecco. Basta esserne coscienti per evitare la totale disumanizzazione. E poi: mai perdere il contatto col bambino in noi, col nostro vero essere!

Un paio di volte a settimana realizzo queste cose e anche il sogno di bambino di diventare un supereroe: a fine giornata mi travesto da samurai giapponese e acquisto i superpoteri…