Mezzo secolo…

196450 anni.
Sono arrivati anche per me. Cifra tonda – Mezzo secolo dal 1964 (ottima annata). Quando si compie un’età con lo 0 finale si è spinti a fare un consuntivo, a tirare le somme. Provo a farlo anch’io. Non posso che essere soddisfatto del risultato (nonostante premesse poco incoraggianti)…
Il primo decennio. La scoperta del mondo. Ma che ci faccio io qui? Mia madre mi ha partorito con 40° all’ombra, nel tipico “solleone” romano con la città deserta ad agosto – deserta davvero, non come oggi. All’epoca bisognava fare le scorte, era tutto chiuso. I miei genitori molisani vivevano da tempo a Roma: la famiglia di mia madre si era trasferita da Isernia negli anni 50. Alla mia nascita vivevano nei pressi di Piazza Vittorio, allora una zona piuttosto elegante; mi sorprendo sempre a ripensare come mio nonno materno, un semplice impiegato delle Poste e sarto, potesse permettersi allora di comprare casa in centro! Mio padre era a Roma perché da poco arruolato in Polizia, dopo 5 anni in artiglieria e diversi altri alla ricerca di un lavoro sicuro che non si trovava… Si sposarono nel 1963 in una chiesetta nei pressi di Porta Maggiore. Io venni alla luce quasi un anno dopo…
Il mio primo ricordo è quello di una festa a casa dei nonni materni, con uno zio che mi faceva mettere i dischi su una fonovaligia bianca. Mi dicono che era carnevale e che mia madre aspettava mia sorella. Quindi avevo un anno e mezzo. Niente male come flashback. Poi ricordo bene l’arrivo della sorellina, da accudire e proteggere assieme a mamma e papà.

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Il primo decennio fu anche quello del trasloco a Pordenone, per fuggire pochi anni dopo, passando per la casa dei nonni paterni a Campobasso e iniziando lì la scuola elementare. Per molti versi un periodo pittosto brutto, legato alle ansie generate da compiti ed interrogazione, per un esordio in una scuola che era ancora antica, la scuola delle regole e delle punizioni, delle imposizioni e delle frustrazioni. Altro che stimolazione degli interessi! Addirittura, la scuola elementare del mio quartiere, detto il Quadraro, nei pressi di Cinecittà, allora ancora pieno di baracche e baraccati, come si definivano gli abitanti a quei tempi, ancora divideva bimbi e bimbe in ali separate dell’edificio. Eppure erano i primi anni 70. Le baracche le avevo sotto casa e la metropolitana di Roma ancora non apriva. Passavo il tempo a casa a inventare giochi con mia sorella. Alla fine del mio primo decennio, come da tradizione: fine della scuola elementare e prima comunione. Poi il trasloco in Molise, la terra dei miei. Un ritorno gradito a mio padre, ma non a mia madre, che mal sopportava i ricordi d’infanzia nella nativa Isernia, bombardata dagli alleati durante la guerra: i camion pieni di morti, le famiglie dei cugini sterminate e l’isolamento subito a scuola, complici gli insegnanti, a causa della tubercolosi di mio nonno. Solo recentemente ho scoperto che la vera motivazione del trasloco furono gli anni di piombo che incalzavano. Il nome di mio padre poliziotto fu trovato, assieme a quelli di numerosi colleghi, in un elenco in un covo delle Brigate Rosse. Ecco spiegata l’ansia di mia madre nel portarci a scuola tutti i giorni, nell’insistere di non parlare mai con nessuno di politica e accettare mai passaggi da estranei da scuola.
Secondo decennio. Nuova casa in affitto a Ferrazzano, provincia di Campobasso, minuscolo paesino arroccato su una collina visibile da tutta la città, anche noto come paese d’origine dei nonni di Robert de Niro. La casa era notevole, ampie stanze e soffitti alti, ricavata da un vecchio castello. Ma il paesino era troppo per mia madre, che mal sopportava gli sguardi curiosi della gente che sembrava vederci come degli alieni, già solo a guardare la vecchia Simca targata Roma, che incitava i ragazzini locali allo sfottò, come una reazione ad un senso di inferiorità nel paragonare anche solo le dimensioni del paesino molisano (ma chi lo sa dove è il Molise?) con quelle della Capitale. Tempo tre mesi e ci spostammo in città, a Campobasso, in un appartamento in un gruppo di case che circondavano un cortile animato dagli schiamazzi dei bambini che giocavano a pallone, spesso con le proteste degli abitanti che a volte bucavano i palloni finiti nei loro balconi. E il nostro pallone fu il mezzo per fare nuove amicizie; iniziò un periodo di giochi all’aria aperta, nel cortile, nella strada, nella campagna che allora costeggiava quelle case, sorte lungo la linea ferroviaria per la costa, al tempo servita ancora da un treno a vapore (eh si, si vede che ho 50 anni…).
Alcuni inverni eravamo semi isolati dalla neve. Le scuole chiudevano per la felicità di noi bambini. Potevamo vedere di tanto in tanto dalla finestra un elicottero che portava generi di prima necessità in città, mentre atterrava nel campo di calcio sollevando nubi di neve. Era bello svegliarsi la mattina consapevoli che avesse nevicato grazie a quel senso di ovattamento che ci faceva capire subito che la giornata sarebbe stata diversa.
Le estati erano di chitarra, pallone, chiacchierate e scherzi sul muretto, giochi sugli alberi e nel fieno. Gli inverni di compiti a casa, divieti di uscire per il freddo e rabbia da reclusione.
Scuola media e scuola superiore. Nuove amicizie tra i banchi, noiosissime vacanze al mare sulla costa adriatica e avventurose vacanze al mare sul litorale romano. La prima chitarra elettrica, la musica che diventava sempre più fondamentale.
Verso la fine del secondo decennio la patente, la prima ragazza, la maturità, campioni del mondo…
Campobasso diventava stretta. Le passeggiate per “il Corso” non bastavano più. L’imminente rientro a Roma per l’università sapeva di riscatto e di avventura. Chissà che nuova vita mi attendeva?
Per qualche mese provai la vita dello studente fuori sede, poi fui accolto in casa di un fratello di mia madre, nel quartiere di Centocelle. Fascino di periferia urbana, di vite vere, disseminate in palazzi costruiti alla rinfusa e senza regole 20 anni prima. Poi ci fu il trasferimento di tutta la famiglia: che senso avrebbe avuto mantenere due figli a Roma quando era la città dove tutto era iniziato? I primi esami a Geologia, le nuove amicizie universitarie che ancora durano, le prime uscite il macchina a Roma, le strimpellate con gli amici in sala prova. Primo anno di università concluso. Comincia il terzo decennio…
14836432701_cdb1ee160b_zTerzo decennio concentrato per la prima metà sugli studi universitari ed il lento ma inesorabile appassionarsi alla geologia. Di pari passo era la musica, tra chitarra e impianto stereo. Gli amici che non andavano all’università organizzavano cene, vacanze, compravano auto e qualcuno addirittura si sposava. Ed io a casa a studiare. Per fortuna…
Giocavo a tennis e calcetto, e arbitravo pure il football americano girando su e giù per l’Italia in treno e in auto, a volte in aereo. Alla fine degli anni 80 ero in dirittura d’arrivo negli studi e mi laureai all’inizio dei 90, in piena Guerra del Golfo. Tangentopoli contribuì abbastanza alla mia incapacità di trovare lavoro come geologo, iniziando così quello che forse è stato il mio periodo più buio.
La seconda metà del terzo decennio era concentrata sull’invana ricerca di lavoro da laureato, per cominciare poi a guardarmi attorno e provare qualche lavoretto diverso, sempre temporaneo: il sogno ormai era di emigrare nel mondo di lingua inglese, che tempestavo di curriculum (almeno loro rispondevano anche per dire “no grazie”).
Il quarto decennio continuò su questa falsa riga, ma la situazione peggiorava: sembrava impossibile trovare lavoro. Mi deprimevo sempre di più, ero senza soldi, senza donna, a casa dei miei. E l’età avanzava… Mi chiedevo cosa avessi fatto io in trent’anni e mi deprimevo nel darmi la risposta: nulla.
Dopo qualche anno cominciò la risalita, lenta ma costante. Accettai un incarico di insegnante al Cairo, in Egitto, e partii col mio zio che mi aveva ospitato a Centocelle durante il primo anno di università. Che avventura! Durò solo tre mesi, non ce la feci e tornai a casa criticato da tutti; ma arrivò il primo lavoro da geologo: partii per l’Appennino tosco-emiliano per seguire gli scavi di una galleria. Rientravo nei weekend, guadagnavo bene e le cose andavano decisamente meglio su tutti i fronti. Dopo un paio d’anni, finiti i lavori, entrai all’università di Roma Tre con un assegno di ricerca. Era il 2000, l’anno della svolta. Avevo avverato i miei sogni. Lavoravo con la geologia che amavo e sarei andato anche in Inghilterra e Stati Uniti. Già quell’estare organizzammo una gita di famiglia a New York, dai parenti poco conosciuti che ora sono entrati nel cuore. Ero con mia sorella e alcuni zii; 20 giorni indimenticabili nella città che così tanto mi aveva fatto sognare da ragazzo. L’inverno successivo passai un mese all’università di Leeds in Inghilterra.
mario e pasqAl mio ritorno successe qualcosa che mi avrebbe cambiato la vita: un amico aveva cominciato ad insegnare Aikido, un’arte marziale giapponese non competitiva, orientata allo sviluppo dell’essere umano. Ne fui colpito immediatamente. Non avrei più smesso. Diventò parte integrante del mio essere. Mi sentivo davvero me stesso solo sul tatami…
Ad agosto tornai negli Stati Uniti per un corso alla Michigan Tech ed una gita geologica sulla costa atlantica del Canada con l’università di Rutgers, NJ. Mi chiesero di tornare da loro l’anno dopo per un PhD. Ero all’apice della mia riscossa della mia vita lavorativa. Toccavo il cielo con un dito…
Rientrai pieno di sogni all’inizio di settembre. Era il 2001. Ad una settimana esatta dalla catastrofe…
Non tornai più per il PhD, ma conservo ancora delle importanti amicizie nate da quella esperienza.
Purtroppo i soldi per la ricerca scarseggiavano e verso la fine del mio 4° decennio di vita mi ritrovai di nuovo come 10 anni prima, senza soldi, né donna, né casa…
Il quinto decennio cominciò in queste condizioni, ma dopo un paio di mesi avevo un nuovo lavoro e nuove speranze. La ditta era una compagnia di geologia marina di un mio amico italo-americano. Una sera di ottobre conobbi in un locale di Testaccio colei che sarebbe diventata mia moglie e il giorno dopo mi chiesero di partire per gli Stati Uniti e lavorare lì a un progetto nell’area di New York. Ottimo inizio per il 5º decennio!
dsc00038La ragazza che avevo appena conosciuto non feci un tempo a rivederla, ma ci tenemmo in contatto via email parlandoci di noi stessi e piacendoci sempre più. All’inizio di dicembre 2004 venne a trovarmi per un weekend grazie a un viaggio di lavoro del padre. Iniziammo così la nostra storia, come se fossimo in un film, con la Luna sulla skyline di New York, lungo il fiume Hudson dal lato del New Jersey. Le passeggiate a Central Park, le promesse sul ponte di Brooklyn, l’attesa di oltre un mese per sapere come sarebbe stato nella vita reale, in Italia…
Nel giro di sei mesi vivevamo insieme. Passammo il nostro primo anno di convivenza in una casetta in campagna a nord di Roma. Luisa è di Montefiascone, uno splendido paese in provincia di Viterbo con un panorama mozzafiato sul lago di Bolsena. Pensavamo di essere a metà strada, tra il suo lavoro in quella zona ed il mio a Roma sud. Ero rientrato all’università di Roma Tre lasciando il lavoro americano…
Dopo un anno ci trasferimmo nelle campagne di Montefiascone. Facevo il pendolare con Roma dal nostro nido d’amore, un bel casale nel verde, piccolo ma caldo e ospitale. Conoscevo il paese dai primi anni di università. Una compagna di studi nata negli USA è di quelle parti ed aveva fatto il liceo col fratello della mia dolce metà. Solo dopo piu di 20 anni avevo conosciuto tramite lei la donna della mia vita. I casi del destino! Ormai cintura nera di Aikido, continuavo ad allenarmi dal mio amico a Roma con l’idea di cominciare ad insegnare anch’io.
L’amico per cui avevo lavorato negli USA si sarebbe sposato a fine giugno 2007. Eravamo invitati! Saremmo tornati nella nostra New York dopo due anni e mezzo. Pianificai una sorpresa: senza dire niente prima ad anima viva, le chiesi di sposarmi mentre eravamo a Battery Park, sulla sponda newyorkese del fiume Hudson, quella opposta a dove era cominciato tutto. Ci sposammo due giorni dopo, al comune di New York, 1 Centre Street…
Seguì un bel viaggio “di nozze” a Cape Cod …con le due amiche che ci avevano fatto da testimoni!
Dopo qualche mese, realizzai il sogno lavorativo ed entrai in una piccola compagna petrolifera e, dopo un paio d’anni, aspettavamo l’arrivo del nostro piccoletto. Ci trasferimmo in uno splendido casale, di nuovo nelle campagne del sacrofanese, a nord di Roma, e dopo qualche mese nacque Leo: divenni padre a 45 anni suonati! Il giorno più bello – anzi, la nottata, visto che il bimbo è spuntato alle 5 di mattina, già bello e sano. Mi stava pure già simpatico! Sensazioni intense ed indescrivibili. Era anche ora di tornare a New York per far conoscere il piccoletto, come avevamo promesso. Fu una splendida vacanza: giugno 2010, in concomitanza con il nostro 3° anniversario di nozze e con i 40 anni di mia moglie, raggiunti pochi mesi prima …e con Leonardo, che a soli 7 mesi faceva girare le teste nella Grande Mela, rendendoci orgogliosi genitori made in Italy.
IMG_2604Avevo realizzato tutto, con settembre 2010 anche il sogno di insegnare Aikido!
Vivemmo così 3 anni splendidi nel nostro paradiso verde, invitando amici, passeggiando in campagna, cogliendo la frutta, coltivando l’orto. Le escursioni con Leonardo a tracollo nello zaino sono i ricordi più belli. Ma arrivarono anche i primi nervosismi tra coniugi, innsescati dallo sconvolgimento epocale del divenire genitori. Nel 2012 ci prese così la smania di tornare in città. Gli inverni isolati in campagna erano più pesanti con un figlio a carico. Provammo a sognare un appartamento in una bella zona di Roma e lo trovammo. Ci trasferimmo lì, entusiasti, a un km dal Vaticano e a due passi dal mio lavoro. Ma durò poco: vedere un bambino di 3 anni, cresciuto nel verde, tapparsi il naso nel traffico fa riflettere un po’; poi la crisi del mio settore lavorativo, come tanti altri settori di un Paese intero in grosse difficoltà, ci mise in apprensione. La paura che perdessi il posto ci fece tornare indietro. Lasciammo l’appartamento di Roma dopo solo un anno e mezzo, in fretta e furia, nell’imperante necessità di tagliare i costi. Ed eccoci nel paese di Sacrofano, forse snaturandoci un po’, non più un casale di campagna: avevamo scelto la comodità, accanto ai miei genitori (felicissimi), con un bel terrazzo e a due passi da tutto, servizi, scuola, giochi. Così il piccoletto vive inondato dall’affetto dei nonni e della adorata zia, mia sorella. Torno a fare il pendolare per Roma, ma non è poi così male quando la sera esco dal caos cittadino, tra le colline dei Saxa Rubra lungo la via Flaminia che segue il corso del Tevere a ritroso. Nel paesaggio vulcanico sabatino della campagna a nord di Roma la mia donna può ritrovare la familiarità del paesaggio dei suoi Vulsini; c’è anche un bel lago, raggiungibile nella splendida Trevignano. Non sarà Montefiascone ma oggi va bene così. La vita è più semplice, l’aria è pulita, i rumori assordanti della città non ci sono più e la nostra amata campagna è a due passi. Ritrovata un po’ di tranquillità, sogniamo un ritorno alla nostra New York per celebrare il mio mezzo secolo di veneranda età…