Il tono della chitarra

Per prima cosa voglio precisare che in questo articolo non voglio insegnare niente a nessuno. Ho semplicemente voglia di mettere per iscritto e condividere alcune cose che ho capito; scrivendole fisso i concetti, li rendo miei e mi chiarisco le idee ulteriormente. In più, riunisco questi concetti in una sola pagina per mia futura memoria. Se poi la condivisione può aiutare qualcun altro, tanto di guadagnato.

Come dico spesso, sono solo uno strimpellatore, non un musicista. Con la chitarra so fare alcune cose anche a livello decente, tanto da poterle eseguire accettabilmente in pubblico. Poi basta che mi guardi leggermente attorno e di chitarristi più bravi di me ce ne è a bizzeffe. Mi difendo, ok?
Se un giorno imparerò a leggere e scrivere la musica, saprò qualcosa in più di teoria musicale, di armonia, ecc. e magari guadagnerò qualcosa suonando o insegnando, forse allora mi definirei timidamente un musicista.

Suono Puro?

ash_stratDetto questo, iniziamo dal suono di una chitarra elettrica. Fermo restando che esistono differenze di base nel suono di chitarre diverse come Stratocaster, Telecaster e Les Paul, se ci fissiamo sul suono “puro” della nostra chitarra, non inquinato dai circuiti elettronici di amplificatori ed effetti, lasciamo perdere; stiamo parlando di chitarre elettriche, il loro suono “naturale” non esiste, è il suono dei loro pick up amplificato, meccanismi elettronici. Un qualunque strumento amplificato può scordarsi la purezza del proprio suono. E’ uno strumento elettronico…
Al lato opposto abbiamo una tendenza all’uso di quanti più effetti possibili per ottenere il nostro suono o quello di un nostro beniamino.
Una pedaliera affollata può non essere sempre una buona idea. L’ideale sarebbe iniziare da un effetto ed impararlo bene, poi capire se abbiamo bisogno di un altro e così via, con calma.
Esistono i due estremi: suonare direttamente in un amplificatore oppure avere una complessa catena di effetti per poter ricreare una serie di suoni differenti. Non esiste un approccio giusto o sbagliato. In genere dipende da cosa si vuole ottenere o fare oltre che dal livello a cui si suona (un conto è il professionista, ben altro è chi ci si diverte). Fermo restando che ognuno è libero di spendere i propri soldi come gli pare, diciamo che a livello di divertimento, avere un gran numero di pedali, chitarre e amplificatori non serve. Se abbiamo l’indole del collezionista e ce lo possiamo permettere ben vengano i vari tipi di chitarra, amplificatori ed effetti. Se ci limitiamo a quello che davvero ci serve, beh… allora è un altro discorso.

Ricordiamoci chi siamo

Personalmente sono limitato sia dal fatto di non essere un professionista, sia dal non avere grandi disponibilità economiche. Il mio carattere poi mi spinge ad avere oggetti che uso: il semplice possedere qualcosa non mi dà soddisfazione, se non mi serve non ci spendo i soldi. Quindi il mio punto di vista parte da questi presupposti. Il risultato è che ho una sola chitarra elettrica, una sola chitarra acustica, un amplificatore piccolo per casa e uno grande in sala prove. La pedaliera è piuttosto piccola.
Quando suonavo da ragazzo mi limitavo a registrare col gruppo delle cover in cassetta nelle sale prova. Mai uno spettacolo, neanche per gli amici. Non sapevo nulla di effetti per chitarra. Avevo un distorsore Boss Heavy Metal (ma suonavo tutt’altro che Metal), una imitazione Stratocaster con pickup Di Marzio e un amplificatore a transistors dalla qualità ridicola. Non sapevo nulla neanche di come spingere amplificatori a valvole alla saturazione. Niente di niente. Più tardi adottai un multieffetti digitale Zoom. Ma ormai suonavo solo a casa. Anni dopo ho ripreso a suonare e stavolta in modo un po’ più serio e con le nuove tecnologie di comunicazione che forniscono una mole impressionante di informazioni a chi si volesse ducumentare. Ho ricominciato con una multieffetti Zoom ma poi ho preso a acquistare pedali singoli analogici.
L’ideale per uno che si diverte e basta, come me, sarebbe un sistema digitale in cui c’è tutto quello che si desidera e pian piano si possono sperimentare vari tipi di effetti e amplificatori simulati digitalmente. Potrebbe essere il futuro e nonostante la mia età non ho problemi con le tecnologie digitali. Lavoro sui computer e configuro software, anche usando il linguaggio di programmazione, ma non è quello che voglio fare quando mi diverto nel tempo libero. Nel tempo libero sono analogico, metto dischi in vinile, faccio foto con pellicola e suono la chitarra con effetti analogici.
In teoria potremmo ottenere qualunque suono dal nostro amplificatore. A casa spesso faccio così. Il chitarrista normalmente non utilizza molto le manopole di tono e volume della chitarra e anche quelle dell’amplificatore. la combinazione delle due sezioni di equalizzazione di strumento e ampli già offrirebbe una tavolozza ricca di suoni per qualunque applicazione non professionale. Ma anche se suoniamo per divertimento, quando sei in un gruppo diventa difficile fare così. Sia perché passando da un brano all’altro non è pensabile mettersi a regolare manopole ogni volta, sia perché un conto è suonare a casa da soli, un altro è dover far uscire il proprio suono nel contesto di un gruppo: la chitarra deve ritagliarsi uno spazio nelle frequenze medie che le appartengono; i bassi vengono usurpati da batteria e basso, estremamente più potenti in quei range; lo stesso vale per gli alti, dove i piatti la fanno da padrone; se poi ci sono delle tastiere, esse coprono potenzialmente tutto il range sonoro – alla fine, se utilizziamo la stessa equalizzazione di casa la chitarra sparisce quando suoniamo col gruppo. Ecco che dei pedali possono servire.

Come funziona

Fino a poco tempo fa avevo solo amplificatori a transistor. Tutte le distorsioni le generavo con gli effetti a pedale. E’ possibile, è una scelta. Si può fare anche con amplificatori a valvole, ma devono essere potenti abbastanza da non andare in distorsione semplicemente alzando il volume. Cosa che molti invece scelgono di fare, optando per un valvolare non troppo potente in modo che ai volumi di sala prove sia leggermente distorto. Ma poi servono pedali per mandarlo a distorsioni più pesanti, se è quello che vogliamo.
Questo con i transistor non si può fare. A meno di non utilizzare il loro canale distorto (il canale gain) per emulare questo comportamento.
All’inizio io avevo un bel Peavey Bandit 112 Solo Series del 91 con un ottimo canale pulito su cui impostare i miei suoni distorti con 2 o 3 pedali overdrive a simulare le distorsioni di amplificatori valvolari. Il canale distorto del Bandit non aveva un bellissimo suono, era utilizzabile ma mi piaceva di più quello che usciva dai pedali sul canale pulito. E’ un classico per chi si deve accontentare e non può spendere su amplificatori eccezionali.
Ma quando ne ho avuto la possibilità e sono passato al valvolare ho cambiato idea. Ho optato per un combo da una ventina di watt. Finché l’ho provato a casa il suo suono pulitissimo ha sconvolto tutte le mie convinzioni precedenti. Connettere la mia pedaliera ad 8 componenti faceva sensibilmente calare la qualità generale. Così ho comprato cavi patch migliori per connettere un pedale all’altro. Quelli per la chitarra li avevo già presi di qualità anni prima rimanendo sbalordito dal cambiamento in positivo che hanno portato al suono. Quindi coi cavi non scherzo (senza spendere cifre assurde, basta prendere cavi di qualità come gli Ultimo Cavo, made in Italy che uso io, mentre in pedaliera ho vari cavetti Fender, PRS, Roland…).
Ho cominciato ha ridurre i pedali allo strettissimo necessario e questo mi ha portato a capire quello che mi serve e perché.

Il mio caso

Suono in un gruppo che fa cover, quindi un po’ di versatilità sonora serve. Il suono base di partenza è un suono ottenuto bilanciando opportunamente il volume della chitarra con quello dell’amplificatore valvolare. Ho in sala prove un Bugera V22. Può lavorare sia in modalità pentodo che triodo. In sala prove l’ho usato d’apprima a pentodo (massima potenza), quindi non riuscivo ad alzargli il volume tanto da mandarlo in overdrive. Come facevo col transistor, creavo le mie distorsioni con i pedali. Poi acquistai un Bugera V5 per casa. Ha uno switch per farlo lavorare sia a pieno wattaggio di 5 W che a potenza ridotte di 1 W o 0,5 W. Così posso mandarlo in saturazione anche a volumi da appartamento e…. pazzesco! Il piacere di suonare un amplificatore con le valvole al limite della saturazione era a me sconosciuto. Se si è in quella situazione di bilanciamento tra uscita della chitarra e volume dell’amplificatore che gli inglesi chiamano “sweet spot”, si è nel nirvana chitarristico. Chitarra e amplificatore rispondono meravigliosamente ala mano dello strumentista. Spingendo più forte il suono risponde diventando più graffiante ed aggressivo, addolcendo i colpi il suono diventa pulito, leggermente distorto se non per niente. E le possibilità espressive aumentano, non tanto di numero ma di qualità.
Ed è lì che ho capito: è favoloso suonare direttamente connessi (in tutti i sensi) all’amplificatore e il suono lo fa lui e i pickup che sono nella tua chitarra, combinato al tocco del chitarrista, che è responsabile di quasi il 50% del resto del suono. Ma i pedali servono eccome. E’ vero che possiamo gestire con la nostra mano destra il livello di saturazione delle valvole, ma a volte può servire di più. Così inseriamo un overdrive. Le distorsioni a transistor dell’overdrive si mescolano meravigliosamente con quelle delle valvole perché ognuno distorce armoniche diverse del suono originale. Il risultato è una combinazione che piace particolarmente all’orecchio umano. e se serve andare su distorsioni più pesanti è necessario combinare 2 o più pedali overdrive. E’ tipico utilizzarne uno per overdrive più leggeri ed un altro quando si deve spingere un po’ di più. Di solito, in combinazione, il primo spinge l’altro, specie durante gli assoli, ed entrambi spingono le valvole dell’amplificatore. Questo è il modo corretto di usare combinazioni di overdrive. Per quello che suono io col mio gruppo neanche mi servono distorsori o fuzz, mi basta la giusta combinazione di overdrive e un po’ di delay quando serve. Ho eliminato tutto il resto.
Ho letto di chitarristi che non suonano senza la loro fida pedaliera, assemblata dopo anni di scelte, prove, cambi, dopo aver speso tanto denaro. Ho letto una interessante riflessione su questo da parte di John Bohlinger di Premier Guitar: avete mai sentito suonare un chitarrista ultra 70enne? Accorda la chitarra ad orecchio (altra capacità che si sta perdendo grazie alla tecnologia), la attacca all’amplificatore e vi stende con un assolo. Quindi, effetti ok, ma con sobrietà.

Come dichiara lo stesso John Mayer, che molto si ispira sia a Hendrix che SRV, il suono di Stevie era più un fatto di volume che altro: volume della chitarra giù e volume dell’amplificatore su…


Dipende tutto da noi

Del resto il suono che verrà fuori dipenderà in gran parte da noi, dal modo in cui suoniamo, in cui usiamo le dita.
Ricordo un aneddoto di Steve Lukather, famoso turnista nonché chitarrista dei Toto, uno dei migliori al mondo, uno dei miei preferiti. A Steve piaceva tanto il suono di un suo amico, quindi andò a trovarlo per provare un po’. Beh, qualunque cosa facesse o provasse, continuava sempre a sentire il suo stesso suono.
Allo stesso modo David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd, dichiara che potrebbe entrare in qualunque negozio di strumenti musicali, scegliere una chitarra qualunque, collegarla a qualunque amplificatore e catena di effetti, ciò che sentirebbe sarebbe sempre il suo suono.
stevey-ray-vaughanPer questi motivi ho deciso di accontentarmi ed usare meno effetti possibile. Giusto lo stretto necessario per la musica che mi piace suonare. Certo, chi fa ricerche particolari sui suoni dovrà sperimentare e giocare con tante diverse scatolette. Nel mio caso, prediligo chitarristi che sono diventati famosi per il loro approccio “basic” alla effettistica: Jimi Hendrix, Stevie Ray Vaughan, utilizzavano pochi pedali. Jimi Hendrix amava mandare in saturazione i suoi Marshall, era noto per ruotare tutte le manopole al massimo (il settaggio Hendrix) e via col feedback! SRV allo stesso modo utilizzava più che altro la saturazione dei suoi finali. Come dichiara lo stesso John Mayer, che molto si ispira a questi due grandissimi, il suono di Stevie era più un fatto di volume che altro: abbassare il volume della chitarra ed alzare quello dell’amplificatore!

Il suono delle corde

Si parla molto del suono diverso che si può ottenere con corde diverse e di sezione diversa. Il solito SVR ha fatto scuola utilizzando corde molto spesse, fino anche a 0,013 pollici (!!!). Ma il suo approccio era quello di spingere l’amplificatore con i single coil di una Stratocaster, aveva grosse mani e picchiava duro: il tutto contribuiva al suono che voleva ottenere, come spiega benissimo l’ottimo Peter Thorn nella sua rubrica su Premiere Guitar. Quello che voglio dire con questo è che ognuno di noi ha caratteristiche, capacità e gusti peculiari. Quello che andava bene per Stevie Ray Vaughan non è necessariamente adatto a noi, anche se suoniamo la sua musica. Quindi che corde scegliere e che effetto hanno sul suono? L’ottimo video di Rick Beato spiega come lui preferisca corde sottili, fino anche a 0,008 pollici di diametro.

L’argomento è che la minore sezione consentirebbe loro di muoversi meglio all’interno del campo magnetico dei pickup generando un suono più pieno e con maggior sustain. Chi pensa l’opposto è convinto che il suono sia più pieno con corde più spesse che suonino quindi più forte. Cito ancora John Mayer sullo spessore delle corde: “Anything you can bend”. Vogliamo usare il bending a dovere? Dobbiamo essere in grado di farlo. le mie dita sottili soffrono con corde 0,011, figuriamoci 0,013! Per molto tempo non sono sceso sotto 0,010. Ma alla fine mi sono arreso alla comodità delle 0,009, che mi consentono pure di abbassare un po’ la action sul mio manico vintage che la richiederebbe un po’ più alta del solito.
Anche un turnista professionista come Tim Pearce argomenta che delle corde sottili contribuiscano ad un tono più pieno. Dichiara anche di sentirsi più sicuro con corde sottili e suona in modo più libero, osando di più.
In fin dei conti si riduce tutto a ciò che è meglio per noi. Conosco chitarristi ben più bravi di me che usano corde più spesse e plettri duri e grossi menando come ossessi sulle povere corde. Ed il loro sound è ottimo. SRV era così, mano destra pesante (e precisissima) all’occorrenza, corde grosse, grosso impatto sulle valvole dell’amplificatore, spinto con uno o due Tubescreamer. Io non sono certo SRV, lo adoro, è un mio riferimento, ma non posso certo fare come lui: ho le dita piuttosto sottili e il suono del Tubescreamer non mi piace. Non sono Stevie Ray ma devo usare gli strumenti che vanno bene per me, anche se faccio cover di brani di SRV… umilmente…
Un’ultima riflessione la voglio fare sulla marche delle corde perché anche qui è questione di gusti e necessità personali. Da ragazzo compravo sempre corde Fender per la mia chitarra imitazione Stratocaster. Mi sembrava giusto avere almeno qualcosa della Fender sulla chitarra, almeno le corde! Quando presi la PRS usciva dalla fabbrica con corde D’Addario. La chiara origine italiana ed il fatto che chitarre eccezionali come le PRS uscissero di fabbrica con esse mi ha mantenuto per anni un fan di D’Addario. Ho provato le DR una volta sola ma assurdamente avevo problemi a regolare l’intonazione. Ho provato le Earnie Ball Slinkies perché consigliate da un amico più esperto che lamentava delle cose sulle D’Addario che lui non sopportava. Essendomi trovato sempre bene coi suoi consigli ho pensato di provarle ma ho rotto una corda un paio di volte, cosa che non mi succedeva da quando avevo la imitazione Stratocaster! Sono tornato a D’Addario per un po’ e poi ho letto di un giro di corde false via internet e del rischio di incapparvi acquistando online. Essendomi trasferito in una città a misura d’uomo ho ritrovato il gusto di andarmi a comprare le corde in negozio anche per supportare un’attività locale. Per l’occasione ho deciso di tornare alla misura 0,009 pollici e riprovare con Earnie Ball. E stavolta mi trovo benissimo.
Si trovano innumerevoli discussioni sui forum internet sui vari marchi preferiti. Ognuno ha i suoi gusti e le sue casistiche. In un mercato dominato da marchi USA (Fender, Gibson, D’Addario, Earnie Ball, ecc.) in Italia dovremmo essere orgogliosi di avere un costruttore di Napoli corde, Galli Strings, che dal 1890 è all’avanguardia su qualunque strumento a corde. Nei pochi casi in cui gli utenti di lingua inglese raccontano sui forum di aver provato queste corde italiane, si definiscono strabiliati dalla qualità, dal suono e dalla durata. Quindi, se possiamo, suggerirei di comprare italiano, ma temo che le Galli siano disponibili solo online direttamente dal produttore, non le trovo in negozio.