Ho scoperto di essere un criminale!

photoIo un criminale? Mah… in realtà faccio il geologo, ho lavorato anche come rilevatore, a contatto con la natura, ho fatto un po’ di ricerca all’università, mi sono sempre considerato un ambientalista (magari tenendo in considerazione che anch’io guido la macchina, uso energia, ecc.). Ora sono in una piccola azienda che si occupa di esplorazione e ricerca di idrocarburi. Ma forse non dovrei dirlo in giro…

titoli minerariIl lavoro di una piccola azienda di questo tipo consiste nel farsi assegnare dallo Stato delle aree del territorio su cui fare ricerca. Il più delle volte questo significa analizzare dati che sono pubblici, lavori già effettuati in quell’area, pozzi perforati ed analizzati in passato da altre società, linee sismiche preesisitenti da interpretare (sono come delle ecografie del sottosuolo, per capirci). Più raramente sarà necessario tornare sul terreno con geofoni ad indagare nuovamente il sottosuolo con la sismica (si generano onde meccaniche con delle piccole cariche o vibratori). Finito il lavoro di valutazione, si cercano partner con “spalle più grosse” che trovino interessante quello che abbiamo scoperto. Da sola, una piccola compagnia, non può prendersi carico delle attività di estrazione e produzione. Qualora si dovesse passare a questa fase si deve fare domanda al governo, che dà la concessione se tutto è in regola, soprattutto dal punto di vista dell’impatto ambientale. Se le ricerche dovessero risultare in un nulla di fatto, il permesso viene rilasciato. Ma se si procede, questo non significa che sarà fatto scempio di tutta l’area, che i prodotti locali non saranno più mangiabili, che l’acqua non sarà bevibile, che l’aria diverrà irrespirabile. Eppure questa attività è andata avanti per decenni senza suscitare scalpori, senza creare disastri, di pari passo col turismo ed il mangiar bene. Il nostro paese è il 4° produttore europeo di petrolio ed il 3° di gas. Ovviamente non ci basta ed il grosso lo importiamo (il 90% del gas e l’85% del petrolio!). Il picco dell’attività risale a parecchi anni fa (1960-70, ma anche 1980-90). Non capisco come mai solo di recente, ora che l’attività è davvero ai minimi termini, la gente si senta sotto attacco ed il territorio venga visto come terreno di conquista da parte delle compagnie.

In effetti, da diverso tempo il settore in cui lavoro è sotto attacco da parte dei media, ma anche dell’opinione pubblica. Di recente si è anche lasciato passare il messaggio che il terremoto dell’Emilia potrebbe essere stato causato dall’attività delle compagnie di idrocarburi in Val Padana. Il rapporto della commissione ICHESE voluto dalla stessa Regione Emilia, non giunge ad alcuna conclusione scientifica a riguardo: si limita a dei condizionali, auspicando ulteriori indagini. Da qui a lanciare l’allarme su una connessione diretta tra l’attività umana e terremoti che ci sono sempre stati e sempre ci saranno, anche se l’uomo sparisse dalla Terra domani, ce ne dovrebbe passare di spazio e tempo!


La puntata di Report (RAI 3) del 12 maggio 2014 – Shale Caos ha scatenato polemiche
La conseguente lettera del Prof. Carlo Doglioni
in qualità di Presidente della Società Geologica Italiana


Capisco benissimo che, con i governanti che ci ritroviamo, il “pubblico” abbia poca fede nelle commissioni, specie dopo la figuraccia fatta evitando di far uscire il rapporto per un paio di mesi. E’ comunque tragico che ci si scateni con indignazione contro l’intero settore dell’industria estrattiva quando dovrebbe essere chiaro a tutti che i morti per terremoto avvengono solo perché non si è costruito a modo. Fermare l’attività estrattiva non diminuirebbe il rischio sismico. E’ una attività iniziata negli anni 50 ed ha visto i suoi picchi ben prima del 2012. E’ molto strano che solo negli ultimi anni questa attività abbia cominciato a dare fastidio. Quando era al culmine, negli anni 60-70, il turismo conviveva con l’estrazione senza subire alcuna flessione, di disastri comparabili a quelli paventati da molti non ce ne sono stati.


Innanzi tutto lasciatemi finalmente chiarire che non esistono cavità, caverne, laghi sotterranei da cui estrarre fluidi. I fluidi (acqua, olio e gas) impregnano la roccia dalla sua nascita, ne riempiono i pori, come in una spugna.


In Italia ce ne sarebbero di geologi davvero esperti in materia da interpellare, ma di solito si sente sparlare di temi ben noti alla comunità geologica da parte di persone esperte in tutt’altro, ma che aggrediscono con insolita ferocia chi fa questo tipo di lavoro, trattandolo come un criminale “inquinatore”, che farebbe ammalare i bambini pur di trivellare, trivellare, trivellare. Oppure si fanno servizi in cui appare il proprietario del terreno che ti dice che “lì sotto c’è un lago di gas!”. E tutti a tremare: abbiamo sentito che in America hanno scoperto un nuovo tipo di gas, lo “shale gas”, definito pure gas “non convenzionale”, e ne hanno così tanto che diventeranno a breve i primi produttori al mondo, solo che per estrarlo stanno facendo scempio delle loro campagne; hanno sviluppato la tanto temuta tecnica del cosiddetto “fracking”, con cui fratturano la roccia impermeabile per poter estrarre il gas,  e la gente si ritrova il gas dal rubinetto dell’acqua, gli animali che muoiono, le persone che si ammalano, laghetti che pullulano di bolle di gas puzzolente, la testa pozzo in giardino col sibilo del gas velenoso che viene fuori dalle perdite… Scenari catastrofici esaltati dal film Gasland, prodotto e girato da un ragazzo americano spaventato dall’idea che lo shale gas fosse pure sotto casa sua. Esiste la risposta di un altro regista che ha creato il film Fracknation, completamente in crowdfunding (non finanziato dalle compagnie), in cui smentisce punto per punto gli allarmismi dell’altro film. Dove sarà la verità?

Innanzi tutto lasciatemi finalmente chiarire che non esistono cavità, caverne, laghi sotterranei da cui estrarre fluidi. I fluidi (acqua, olio e gas) impregnano la roccia dalla sua nascita, ne riempiono i pori, come in una spugna. Ma a volte la permeabilità della roccia non è molto alta e la si aumenta fratturandola – processo che viene anch’esso chiamato fracking, ma niente ha a che vedere con il fracking per ottenere “shale gas” o “shale oil”, ed è comunque molto raramente utilizzata in Italia per il fatto che normalmente non c’è bisogno di aumentare la permeabilità deli serbatoi. Ed invece le due cose vengono sempre confuse anche dai media, in quello che sembra un voluto tentativo di creare paura e allarmismo nel paese riguardo lo sfruttamento di risorse non convenzionali. In Italia LE RISORSE NON CONVENZIONALI NON CI SONO! Come ve lo dobbiamo dire? Poi senti che addirittura Giuliano Amato ha detto che anche noi in Italia abbiamo il nostro shale gas!!! NO! NON CE L’ABBIAMO!!! Non abbiamo formazioni geologiche di quel tipo! E pure se ce l’avessimo non sarebbe sfruttabile per via della densità abitativa ben più alta che negli USA. Ma si continua ad instillare la paura che, alle spalle del povero cittadino, alcune compagnie “chissà come” (!!!) avrebbero invece utilizzato il fracking anche in Italia.


In Italia LE RISORSE NON CONVENZIONALI NON CI SONO! Come ve lo dobbiamo dire? Poi senti che addirittura Giuliano Amato ha detto che anche noi in Italia abbiamo il nostro shale gas!!! NO! NON CE L’ABBIAMO!!! Non abbiamo formazioni geologiche di quel tipo!


Un po’ di basi:
gli idrocarburi si formano dalla decomposizione della materia organica in bacini anossici (che non contengono ossigeno, che distruggerebbe tutto). Queste condizioni si hanno dove l’energia delle onde marine non arriva, in zone come le lagune, paludi. Lì, pollini e plankton si depositano assieme a fanghi argillosi e, per l’assenza di moto ondoso e quindi di ricambio d’aria, si decompongono in molecole via via più semplici fino a formare idrocarburi (catene di idrogeno e carbonio), il più semplice dei quali è il metano: un solo atomo di carbonio che ne lega 4 di idrogeno (avviene anche oggi, sapete? E’ per questo che da alcune pozze d’acqua vengono fuori bolle di metano, è un fenomeno naturale). Durante il processo che fa diventare il sedimento argilloso una roccia (shale), il peso dei depositi sovrastanti fa si che i fluidi contenuti vengano lentamente espulsi come in una spugna che venisse compressa (in tempi geologici – si tratta di argille, molto poco permeabili); in questo modo i fluidi migrano in adiacenti rocce più permeabili, ad esempio arenarie (derivate dalle sabbie). Per questo l’argilla (shale) viene detta roccia madre; l’arenaria, roccia serbatoio.

Il petrolio a Superquark

L’esplorazione convenzionale va alla ricerca di depositi di idrocarburi nelle rocce serbatoio, che spesso vengono fratturate meccanicamente per incrementarne la permeabilità già esistente. La ricerca non convenzionale va a cercare olio e gas direttamente nella roccia madre (shale), prima che migri nel serbatoio. Trattandosi di rocce impermeabili (a meno di non voler contare su tempi geologici), esse vanno per forza fratturate più pesantemente (chimicamente e meccanicamente) per aumentarne la bassissima, pressoché nulla permeabilità.


Quindi il fracking della roccia serbatoio, tecnica utilizzata in alcuni casi da molti anni, come in quello che sarebbe stato utilizzato in Italia, ma nessuno si preoccupa di sottolineare che non ha nulla a che vedere con la tecnica utilizzata negli USA, che è cosa ben diversa essendo il fracking della roccia madre.


Quindi il fracking della roccia serbatoio, tecnica utilizzata in alcuni casi da molti anni, come in quello che sarebbe stato utilizzato in Italia, ma nessuno si preoccupa di sottolineare che non ha nulla a che vedere con la tecnica utilizzata negli USA, che è cosa ben diversa essendo il fracking della roccia madre. Ovviamente le rocce madri esistono anche in Italia, ma non basta essere roccia madre per poter essere anche una sorgente di shale gas sfruttabile. Nel nostro paese non abbiamo la “fortuna” degli americani, dato che la nostra geologia è totalmente diversa. Quindi se si parla di “un caso fracking” in Italia, si parla di quello della roccia serbatoio, che non è uno scandalo perché non presenta i pericoli paventati da trasmissioni come “shale caos” di Report, essendo tecnica ben diversa dalla quella necessaria per estrarre shale gas.

Io non so come funzionano i controlli negli Stati Uniti. In Italia sono ferrei. Se è vero che negli anni 60-70 le compagnie facevano come gli pareva, oggi, a sversare porcherie in mare si viene “beccati” subito! Le nostre leggi sono tra le più restrittive in Europa per quel che riguarda questo settore. E per fortuna! Tutto si svolge alla luce del sole. Esiste una polizia mineraria, enti come ISPRA e ARTA che monitorano continuamente le attività estrattive, regolate da severissimi vincoli ambientali che, se non rispettati, possono portare al blocco immediato delle stesse. Altri tipi di attività, come ad esempio le costruzioni edilizie, non subiscono nemmeno una minima frazione di questi controlli. Gli studi di impatto ambientale per un pozzo anche solo esplorativo, comprendono l’analisi degli effetti su flora e fauna, fino ad arrivare ai disturbi arrecabili al plankton per via della illuminazione notturna di una piattaforma! Si analizzano le caratteristiche di tutta la strumentazione da utilizzare per valutarne l’impatto sull’inquinamento o addirittura il disturbo sonoro di flora e fauna durante i lavori! Mi chiedo se nel costruire un palazzo ci si preoccupi di salvaguardare i formicai distrutti o del rumore che disturberà i cittadini per mesi e mesi durante i lavori. Per un palazzo che è lì per restare molto, molto più a lungo di un pozzo per idrocarburi. Ma ci rendiamo conto!? I permessi di ricerca non vengono ottenuti “chissà come”, ma solo dopo un preciso iter burocratico vengono assegnati dal Ministero dello Sviluppo Economico (previa approvazione di quello dell’Ambiente) a compagnie che possano certificare le capacità di portare avanti le ricerche e le operazioni, che vanno documentate a cadenza trimestrale al Ministero dello Sviluppo Economico, pena la revoca del permesso. Non si versano mazzette per poterli ottenere, non ce n’è bisogno. Ma si parla di permessi di RICERCA. Solo se la compagnia (o le compagnie) riterranno che valga la pena tentare una perforazione esplorativa, si chiederà una concessione di sfruttamento (che non è detto che verrà accordata). Se positiva, potrebbe anche diventare comunque l’unica installazione: ripeto, non immaginatevi un’area verde completamente crivellata da pozzi (non trivelle come si usa dire, nessuno usa trivelle in questa attività!). Gli scenari apocalittici dello shale gas americano non c’entrano nulla neanche riguardo al numero di pozzi. Con le moderne tecnologie, un giacimento convenzionale (l’unico tipo che si cerca in Italia), un giacimento anche abbastanza esteso è facilmente sfruttabile da un solo pozzo, deviando le successive perforazioni da un’unica piazzola. Nel caso del gas, quello che resta è un impianto neanche troppo invasivo (non come si immagina oggi come oggi) direttamente connesso alla rete nazionale, con cui tutti ci scaldiamo, cuciniamo e facciamo funzionare le nostre apparecchiature elettriche.


I permessi di ricerca non vengono ottenuti “chissà come”, ma solo dopo un preciso iter burocratico vengono assegnati dal Ministero dello Sviluppo Economico (previa approvazione di quello dell’Ambiente) a compagnie che possano certificare le capacità di portare avanti le ricerche e le operazioni, che vanno documentate a cadenza trimestrale al Ministero dello Sviluppo Economico, pena la revoca del permesso.


Gli incidenti sono possibili comunque, in qualunque ambito. Si parla di un gasdotto esploso negli USA causando morti e disastri vari. E’ negli occhi di tutti l’orribile scenario causato dal famoso incidente nel Golfo del Messico nel 2010. Gli USA fermarono le attività per un paio di mesi, per capire bene cosa fosse successo. L’Italia, con decreto Prestigiacomo, bloccò in modo ridicolo tutte le attività offshore entro 12 miglia dalla costa (per sempre) nel miglior stile populista, quando in Adriatico la geologia, Madre Natura stessa quindi, esclude la possibilità di un disastro simile, vista l’assenza di serbatoi di tali dimensioni a tali profondità (sia di mare che di sottosuolo) e soprattutto a tali pressioni. In sostanza, se un incidente come quello del Golfo del Messico dovesse accadere in Adriatico, l’acqua del mare entrerebbe nel pozzo, non uscirebbe petrolio perché da noi sotto pressione non ne abbiamo.
Nel 2012 i ricorsi delle compagnie italiane e straniere che avevano investito a lungo in queste aree hanno ottenuto che si permettesse di continuare i lavori già in corso al momento del decreto, ma di fatto molti progetti sono ancora fermi. Altro che invasione delle trivelle…

Quando cade un aereo non si parla di fermare i voli perché con un incidente sono morte centinaia di persone. Neanche si proibisce l’uso dell’auto, nonostante gli incidenti siano all’ordine del giorno. Anche ad operarsi di appendicite c’è il rischio di restare sotto i ferri, ma se ho l’appendicite il rischio lo devo correre, altrimenti la morte è una certezza. Se prendo l’aereo per viaggiare, accetto di correre il rischio di un incidente, forse mortale; vale ancora di più per l’automobile. Se voglio continuare ad usare il gas per scaldarmi e cucinare, dovrò auspicare che questo venga in qualche modo trovato ed immesso in una rete di distribuzione, che spero non esploda da qualche parte per un incidente. Non è che per stare tranquillo rinuncio alla fornitura di gas.

Superquark: Il petrolio in Italia

Tutti noi auspichiamo che le fonti rinnovabili vengano incontro al fabbisogno nazionale, credetemi, anche noi che operiamo nel settore di quelle fossili. Sappiamo benissimo che le fossili da sole non bastano. Sappiamo benissimo che bruciarle inquina. Ma le alternative da sole basterebbero ancora meno. La fame di energia nel mondo è in crescita, magari minore di quanto ci si aspettava, ma sempre in crescita. Ci servono tutti i metodi per crearla. Meno si usano fonti fossili, meno si inquina, ok. Ma la fonte fossile che inquina davvero è il carbone, il gasolio, non certo il metano.

I pannelli fotovoltaici contengono minerali rari che vengono estratti da minatori/schiavi (magari anche minori) in paesi in via di sviluppo. Una volta finito il ciclo di vita dei pannelli, questi minerali tossici vanno smaltiti. Per non parlare dell’impatto visivo che hanno sia i campi di pannelli solari, che quelli di pale eoliche. Decisamente molto più alto di quello di una piattaforma a mare. Insomma, quella alternativa non è poi energia così pulita come sembra.

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Non capisco perché si sia sviluppato questo accanimento che rischia di far chiudere un intero settore dell’industria in un paese in crisi economica e con la disoccupazione alle stelle. Paura dell’inquinamento? Perché non prendersela con chi sotterra interi camion, o affonda intere navi di sostanze tossiche in terreni e mari da cui traiamo il nostro nutrimento? Perché non prendersela con quell’agricoltura che riversa sostanze chimiche tossiche nella rete fluviale? Paura dei terremoti? Bisogna costruire come si deve, non cercare capri espiatori nell’attività estrattiva o di stoccaggio, che al limite può generare tremori (non si dovrebbero chiamare terremoti, quelli sono di origine sismica, cioè tettonica) di lieve entità viste le dimensioni dei campi con cui abbiamo a che fare in Italia (e si tratta comunque di alcuni casi su migliaia di giacimenti al mondo!).


Un terremoto come quello dell’Aquila, in Giappone o California non fa neanche notizia (perché non causa alcun danno). Qui provoca stragi. Neanche quello dell’Emilia avrebbe fatto scalpore. Qui si dà la colpa ai petrolieri e si incriminano i sismologi.


Ma in Emilia sono caduti capannoni di recente costruzione. Come mai non erano antisismici visto che il territorio in questione è sismico a prescindere dalla presenza di attività estrattiva? La prima accusa è stata verso l’INGV che non avrebbe classificato come sismica quella zona. Cosa smentita immediatamente: tocca per legge alla regione creare la carta del rischio sismico, basandosi su quella nazionale creata dall’INGV. Invece un primo tentativo di scaricamento delle responsabilità è stato fatto verso l’INGV. Forse è per questo che invece di interpellare la massima autorità nazionale in materia di terremoti (un’eccellenza italiana anche rispetto ai tanto apprezzati esperti stranieri) si è preferito ricorrere ad una commissione specifica.

Con i costruttori nessuno se l’è presa? Non mi sembra di averne sentito parlare tanto come dell’industria estrattiva. Per motivi che mi sfuggono sembra più facile prendersela con i “petrolieri”. Immagino come se la ridano all’estero a vederci: un paese che manda a processo degli scienziati perché non avevano dato il giusto allarme prima di un terremoto! Tutto il mondo sa che l’unica difesa contro gli eventi sismici è costruire con criteri antisismici. Noi processiamo chi fa ricerca a riguardo ed ascoltiamo ciarlatani che dicono di poter prevedere qualcosa che tutto il mondo sa di non poter prevedere. Ci ritroveremo a fare bandi per rabdomanti per cercare l’acqua…

Un terremoto come quello dell’Aquila, in Giappone o California non fa neanche notizia (perché non causa alcun danno). Qui provoca stragi. Neanche quello dell’Emilia avrebbe fatto scalpore. Qui si dà la colpa ai petrolieri e si incriminano i sismologi.

Il rapporto del Servizio Geologico della Regione Emilia Romagna sul terremoto del 2012.

Forse le odiate compagnie petrolifere pagano lo scotto dell’immagine che si sono create le sette sorelle degli anni 50, potentissime e spregiudicate, capaci di pilotare governi e scatenare guerre, senza alcun riguardo per l’ambiente e per le persone che andavano a danneggiare per i loro sporchi guadagni. Mi spiace per la voglia generalizzata di demonizzare, ma il grosso del lavoro oggi lo fanno piccole aziende, con pochi impiegati, che lavorano onestamente, che non sono colluse col potere in alcun modo (anzi!), che non ottengono nulla per vie traverse, che rispettano le leggi (anche le normative ambientali, eh si) ed investono ingenti quantità di denaro prima di cominciare a guadagnare solo dopo aver effettuato una scoperta commerciale ed averla messa in produzione per molti anni (è normale che i bilanci di compagnie di questo tipo vedano solo uscite per parecchi anni). Il petroliere spietato a la Rockefeller dei film americani non esiste più. Come non esistono solo Chevron, Shell, ENI, o simili. Esistono tante compagnie medio piccole che cercano di lavorare onestamente per contribuire, sempre in accordo con le leggi dello Stato (in altro modo è impossibile), al fabbisogno nazionale di energia. Grazie alla continua ostilità del pubblico verso queste attività (e quella dei politici che non vogliono rimetterci i voti o che si aggrappano a questo argomento perché sembra fornirne), gli investimenti stranieri rischiano di ridursi notevolmente se non di essere ritirati completamente, portandosi dietro gli investimenti in molti altri settori, spaventati da una situazione industriale surreale. E poi il criminale sarei io?

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Mappa degli impianti attivi in Italia aggiornata al 30 aprile 2014

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